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Il continente vive con apparente distacco il Sinodo

L'Africa attende
la voce dei suoi anziani


di Giuseppe Caramazza

Quando Giovanni Paolo II annunciò al mondo che ci sarebbe stata un'assemblea del Sinodo dei vescovi dedicata all'Africa, la Chiesa africana ne gioì. Quasi tutte le diocesi si impegnarono seriamente nella preparazione al Sinodo africano, come venne subito ribattezzato. Il Sinodo venne seguito con attenzione, ma fu soprattutto la visita al continente - Camerun, Sudafrica e Kenya - che il Papa volle fare nel 1995 per dare alle comunità africane il documento finale (Ecclesia in Africa) che mise in moto un vero e proprio cammino di crescita delle comunità locali. Le proposte del primo Sinodo dedicato all'Africa vennero studiate. Molti si chiesero cosa volesse veramente dire costruire la Chiesa come una famiglia. Altri si impegnarono a una migliore inculturazione del Vangelo nella propria realtà. Alcuni segnali forti giunsero dalle Conferenze episcopali e da operatori pastorali. La fondazione della Università cattolica dell'Africa Orientale (Cuea) e di altri simili istituti ne è una prova. Il lavoro dei vescovi, ma a questo si deve aggiungere la riflessione di migliaia di comunità locali, ha ispirato la creazione di molti centri di studio e pratica del "ministero sociale".
L'annuncio di un secondo sinodo dedicato all'Africa prese tutti di sorpresa. Non pochi, sia tra i fedeli che tra la leadership della Chiesa, si chiesero se non era il caso di attendere qualche anno. Un cammino c'era senz'altro stato, ma c'era ancora molto da fare prima di mettere a frutto il Sinodo del 1994. Inoltre, in poco più di un decennio, l'Africa a sud del Sahara ha vissuto drammi enormi che hanno messo il freno a molte iniziative. Il genocidio del Rwanda del 1994, le varie guerre susseguitesi nella regione dei Grandi Laghi, la crisi del Darfur e del Sud Sudan, il tracollo dello Zimbabwe e della Somalia, sono tutte situazioni che hanno pesato enormemente anche sui Paesi limitrofi. Le diocesi hanno comunque partecipato alla riflessione chiesta da Roma e sostenuto la preparazione dell'Instrumentum laboris.
In questi giorni i vescovi africani, con altri rappresentanti delle comunità cristiane del continente, si incontrano a Roma. Come vive questo evento la comunità cristiana del continente? Un veloce controllo dei quotidiani del grande continente mostrerà una scarsa attenzione da parte dei media. Tra le grandi testate nazionali, il "Nation" di Nairobi ha parlato dell'apertura del Sinodo riportando un articolo preparato dalla Bbc. Il "Mail and Guardian" di Johannesburg ha dato la notizia, ma senza analisi approfondite. Così è stato per quasi tutte le testate. I media cattolici sono andati un po' oltre. I siti delle Conferenze episcopali del Kenya e del Sudafrica riportano gli interventi. Le radio cattoliche di vari Paesi danno notizie. In particolare, è da sottolineare la sforzo di Radio Veritas di Edenvale, una cittadina satellite di Johannesburg, in Sudafrica. Un programma quotidiano informa gli ascoltatori di ciò che è stato detto al Sinodo e, quando possibile, il cardinale Wilfrid Fox Napier, arcivescovo di Durban, commenta brevemente gli eventi del giorno.
Pur sottolineando ciò che di positivo avviene, non si può fare a meno di notare che il Sinodo è vissuto un p0' in sordina. Se il mondo dell'informazione di massa non si accorge del Sinodo è anche perché la comunità cristiana sembra distaccata. In realtà occorre fare attenzione al modo con cui molte culture africane si avvicinano agli eventi importanti. Una giornalista sudafricana a cui ho chiesto un commento, mi ha ricordato che "a Roma i nostri anziani stanno parlando. Quando si rivolgeranno a noi avremo il tempo di dire la nostra, di celebrare e vivere questo secondo Sinodo".
Forse questa è la giusta chiave di lettura. Non manca interesse verso l'incontro in Vaticano. La Chiesa locale attende con rispetto di sentire che cosa diranno i vescovi. Dopo ci sarà tempo per celebrare, e soprattutto per lavorare e pianificare la rotta della Chiesa africana dei prossimi decenni.

 

(© L'Osservatore Romano 22 ottobre 2009)