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Riflessioni bioetiche sull'«enhancement»

Il malinconico mondo
dei superman


di Laura Palazzani

Iprogressi scientifici nell'ambito delle neuroscienze, delle scienze cognitive, della genetica, delle biotecnologie e delle cybertecnologie aprono scenari nuovi che sollevano inediti interrogativi etici. È possibile usare farmaci e tecnologie non solo per curare malattie o conservare condizioni di salute, ma anche per potenziare capacità fisiche, mentali ed emotive? È lecito intervenire sul corpo per finalità che vanno oltre la terapia, solo per farci sentire "migliori" trasformandoci in superman e wonder woman?
Nella letteratura angloamericana è ormai molto diffusa l'espressione enhancement ("potenziamento") che indica gli interventi di alterazione del corpo e della mente rispetto al normale funzionamento fisico e psichico. Si prospetta la possibilità di agire sui meccanismi biologici dell'invecchiamento per ritardarlo e rendere l'uomo non solo longevo ma addirittura immortale. Si pensi all'uso di psicofarmaci per potenziare la memoria, per incrementare l'attività intellettiva, per eliminare selettivamente ricordi traumatici o sgradevoli, per controllare stati emotivi indesiderati; all'uso di sostanze ormonali dopanti per migliorare prestazioni sportive; all'utilizzo dell'ormone della crescita per soddisfare il desiderio di diventare più alti. Un nuovo ambito di riflessione bioetica rimette dunque in discussione gli scopi della medicina, il significato di cura, i confini tra salute e malattia, tra normale e patologico, ma anche il significato di natura umana e di giustizia sociale.
I sostenitori della legittimità dell'enhancement ritengono che migliorare le capacità fisiche e psichiche umane sia non solo lecito, ma anche auspicabile e moralmente doveroso. Innanzi tutto, perché il potenziamento è ritenuto una possibile scelta soggettiva che rientra nel diritto di autonomia:  sarebbe l'individuo a stabilire soggettivamente i confini tra salute e malattia, e dunque qualsiasi condizione potrebbe essere considerata malattia e richiedere un intervento medico, anche il sentirsi bassi, ansiosi o semplicemente malinconici. In secondo luogo, perché il potenziamento è finalizzato al miglioramento, analogamente all'allenamento e all'educazione:  infatti, ci si allena per migliorare le prestazioni fisiche, e si educa un individuo per svilupparne le capacità intellettuali. Allo stesso modo, è ritenuto giustificabile e doveroso potenziarsi con l'uso di farmaci e le nuove offerte tecnologiche. Anzi, chi si oppone al potenziamento, secondo questa prospettiva, provoca un danno all'uomo e alla società in quanto ostacola la possibilità di ottenere migliori risultati in modo più facile e rapido.
In realtà, il potenziamento minaccia la dignità umana. Si tratta infatti di un tentativo di superare i limiti della natura, nello sforzo di manipolarla sulla base di desideri soggettivi, e quindi arbitrari, selezionando caratteristiche fisiche, mentali ed emotive considerate migliori. Il potenziamento minaccerebbe inoltre la giustizia sociale, in quanto inevitabilmente produrrebbe disuguaglianza tra chi ha la possibilità di accedere alle tecnologie e chi rimane nelle condizioni naturali, introducendo squilibri nella competizione. Il potenziamento condurrebbe infine a nuove forme di discriminazione:  non solo creerebbe una subalternità tra abili (naturali) e super-abili (potenziati), ma accentuerebbe anche inevitabilmente il divario tra disabili e abili, promuovendo una mentalità di marginalizzazione di chi è considerato "imperfetto".
La corsa verso il potenziamento porterebbe così a legittimare ogni richiesta del soggetto al medico a prescindere da obiettive condizioni di malattia, sia rispetto a se stesso (per migliorarsi) sia rispetto agli altri (per avere i figli migliori, mediante l'eugenetica positiva o la selezione delle caratteristiche genetiche preferite). Il medico diventerebbe in questo modo un mero esecutore di desideri altrui, finendo con il dimenticare il suo dovere terapeutico. L'uso di tecnologie o farmaci a fini migliorativi potrebbe oltretutto provocare danni gravi, sproporzionati rispetto ai benefici ottenibili:  paradossalmente, con l'obiettivo di migliorarsi, si potrebbe danneggiare la propria salute. E si finirebbe anche con il dimenticare che il vero miglioramento si ottiene non attraverso l'uso di farmaci o di tecnologie, in modo rapido e passivo, ma mediante lo sforzo personale, l'impegno attivo e quotidiano, la relazione con gli altri.

 

(© L'Osservatore Romano, 7 novembre 2009)