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Credenti e non credenti alla vigilia della sentenza

Strasburgo e il crocifisso


di Marco Bellizi

Nessuno può ragionevolmente affermare, oggi, che la croce non sia il simbolo della libertà religiosa, in Europa e nel mondo. È un'affermazione che risulta difficile da contestare, anche per i più critici. Ed è un principio che in questi giorni sta unendo personalità credenti e non credenti, laiche ed ecclesiastiche. Sono in tanti ad aspettarsi che la prossima sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo riconosca la facoltà a ogni Paese di regolare in autonomia l'esposizione di simboli religiosi nei luoghi pubblici. La Grand Chambre della Corte di Strasburgo sarà chiamata a decidere il 30 giugno sul ricorso presentato dal Governo italiano contro una precedente sentenza dello stesso tribunale, nella quale si affermava il divieto in Italia di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche.
Il presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, ieri è intervenuto sul tema, unendosi alle posizioni espresse nella stessa giornata dalla Conferenza episcopale italiana. Ha detto il capo dello Stato:  "Anche la questione, particolarmente sensibile, dell'atteggiamento da tenere nei confronti delle simbologie religiose può essere più opportunamente affrontata dai singoli Stati, che sono in grado di meglio percepirne la valenza in rapporto ai sentimenti diffusi nelle rispettive popolazioni". Si tratta chiaramente - ha aggiunto Napolitano - di bilanciare "le diverse sensibilità" e di salvaguardare "obiezioni di coscienza serie e consistenti in specifiche situazioni". Tuttavia, va riconosciuta "la rilevanza pubblica e sociale del fatto religioso", accanto al "valore della laicità dello Stato, a garanzia della libertà religiosa e dei rapporti tra confessioni religiose e autorità statuali, nel segno della reciproca autonomia e dell'accettazione del metodo democratico". Riguardo ai valori cristiani, Napolitano ha sottolineato "l'importanza della comune missione educativa alla quale sono chiamate le autorità politiche ed ecclesiali", l'importanza "della loro responsabilità - sia pure in ambiti e piani diversi e in assoluta indipendenza - di promuovere il rispetto di principi etici fondamentali, in cui tutti possono riconoscersi e senza i quali è destinata a lacerarsi la coesione del tessuto sociale". Da qui la necessità di salvaguardare e valorizzare il tradizionale patrimonio identitario e di valori, "espresso, in particolare nei Paesi europei e in Italia, dalla millenaria presenza cristiana e cattolica".
Parole chiare, che fanno luce sul nodo, anche giuridico, che i magistrati di Strasburgo sono chiamati a sciogliere. Le parole di Napolitano sono importanti. Lo sono perché a pronunciarle è il capo dello Stato, rappresentante di tutti gli italiani, e figura sulla cui laicità nessuno può dubitare.
La coincidenza con le argomentazioni dei vescovi europei è evidente. Il 24 giugno presuli spagnoli hanno diffuso una dichiarazione nella quale spiegano che "grazie proprio al cristianesimo, l'Europa ha saputo affermare l'autonomia degli ambiti spirituale e temporale e aprirsi al principio della libertà religiosa, rispettando tanto il diritto dei credenti che dei non credenti". Nella cultura e nella tradizione cristiane - continuano - la croce "rappresenta la salvezza e la libertà dell'umanità. Dalla croce derivano l'altruismo e la generosità più puri, così come una sincera solidarietà offerta a tutti, senza imporre niente a nessuno".
E il 23 giugno i vescovi di Inghilterra e Galles avevano messo in guardia contro "un modello di secolarismo che è contrario a ogni manifestazione della religione nella sfera pubblica" mentre i vescovi cechi hanno osservato oggi come i valori espressi dal cristianesimo "sono gli unici in grado di mantenere l'Europa viva e forte". Dei pericoli derivanti dal rifiuto della dimensione pubblica della fede avevano parlato anche i vescovi cattolici russi:  "In Russia - ha scritto il vescovo della Trasfigurazione a Novosibirsk, Joseph Werth - durante il governo comunista si è giunti alla persecuzione di molti credenti e a una follia morale della società. Il diritto alla libertà di religione non esclude l'accettazione spontanea o il mantenimento di simboli tradizionali cristiani in diversi Paesi europei, a causa del loro alto valore sociale. I simboli religiosi come la croce sono il segno non solo della religione cristiana ma anche uno dei più importanti elementi dell'identità europea".
In alcuni Paesi la croce è anche altro. Lo ricordano per esempio i presuli romeni, che hanno inviato un messaggio alla Corte di Strasburgo:  "Per molte nazioni dell'Europa orientale - scrivono - tra le quali la Romania, la Croce rappresenta pure il simbolo della speranza e della lotta per la libertà. Nel periodo caratterizzato dal regime comunista, i simboli religiosi furono proibiti e, dopo la caduta del comunismo, la ritrovata possibilità di esporli in pubblico è stata considerata una vittoria della democrazia e della libertà sopra il totalitarismo e l'oppressione".
In fondo, quella che la Corte di Strasburgo è chiamata a prendere, è anche una decisione di buon senso. Lo hanno compreso i dieci Paesi di diversi continenti che si sono affiancati al Governo italiano nel suo ricorso contro la decisione di novembre del 2009, una sentenza che, come ha scritto "La Civiltà Cattolica", "non ha tenuto nel dovuto conto il principio della rilevanza dell'appartenenza della stragrande maggioranza della popolazione italiana alla religione cattolica", evitando di riconoscere "che la presenza del crocifisso nella aule scolastiche ha il valore di un semplice e coerente richiamo a questa realtà sociale tanto antica quanto attuale".