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La riforma di Wall Street e le attese in Europa

Chi paga il debito pubblico


di Ettore Gotti Tedeschi

La riforma finanziaria di Obama rappresenta un'implicita ammissione di responsabilità del sistema politico per la tolleranza dimostrata in passato verso gli eccessi prodotti dalla finanza. Eccessi cui non è stato posto freno, permettendo operazioni ad alto rischio e ad altissima leva finanziaria, nella speranza, soprattutto nell'ultimo decennio, che queste potessero sostenere le esigenze di crescita del prodotto interno lordo (pil).
Forse non è completa la riforma voluta dal presidente degli Stati Uniti, ma certamente è corretta, e rappresenta un indirizzo anche per l'Europa. Non cede al rischio di produrre effetti burocratici - una tentazione questa tutta europea - ma si preoccupa semplicemente di fare osservare delle norme. Il dispositivo conferma infatti regole già esistenti, ma mai applicate, imponendo però - e questa è la novità - dure sanzioni a chi non le rispetta.
Si potrebbero proporre come analogia i limiti di velocità in autostrada, che in pochi osservavano, in mancanza di adeguati controlli. Per evitare che, come accadeva un tempo, qualcuno superi i 200 chilometri all'ora, non ci si accontenta più di abbassare burocraticamente il limite, ma si impone davvero il suo rispetto, magari con un tutor elettronico di velocità.
Tornando alle banche, bisogna sottolineare che anche prima esistevano norme di vigilanza; ma esse venivano aggirate grazie a operazioni - tollerate - fuori bilancio, che hanno permesso di moltiplicare le attività finanziarie sul patrimonio quattro o cinque volte più del dovuto. E tutto ciò con un'evidente compiacenza politica per la crescita del pil sostenuta da tali rischiose iniziative.
La riforma statunitense, come accennato, conferma norme già esistenti, ma impone nuovi regolamenti e supervisioni per garantire che la gestione del rischio e della leva finanziaria sia effettiva per le banche commerciali. Senza però ricorrere alla separazione tra queste ultime e le banche di investimento, come successe negli anni Trenta con la legge Glass-Steagall, emanata per regolare la speculazione ed evitare che i fondi raccolti presso i risparmiatori dalle banche commerciali venissero investiti dalle banche di investimento in attività rischiose, ad alta leva finanziaria e a basso controllo. La normativa scomparve negli anni Novanta, con le conseguenze note a tutti e che ora vengono sopportate, anche se in modo diverso, dalle famiglie, sia negli Stati Uniti che in Europa.
In America le famiglie sono state incoraggiate a indebitarsi per consumare e fare crescere il pil; in Europa si sono indebitati gli Stati per sostenere i costi sociali dovuti alla mancata crescita demografica. Le famiglie europee, invece, hanno risparmiato, ma sono ora costrette ad assorbire, con il proprio risparmio, il debito del sistema economico a tassi zero. I tassi zero, in realtà, equivalgono a una tassa occulta, che trasferisce ricchezza da chi è stato virtuoso a chi si è indebitato. Ma la penalizzazione del risparmio privato - che si potrebbe definire il petrolio europeo, cioè la sua vera ricchezza - rappresenta un rischio molto più alto dell'esaurimento delle fonti energetiche, le quali possono esser sostituite con quelle alternative.
Non c'è invece alternativa al risparmio, oggi molto scoraggiato dal gioco dei tassi veri di remunerazione, pari a zero, giustificati da illusori tassi di inflazione, vicini allo zero. Negli Stati Uniti il Governo sta ora nazionalizzando il debito privato, alleviando - quasi a volersi scusare - le famiglie dall'indebitamento imposto in passato. In Europa, al contrario, si sta privatizzando il debito pubblico attraverso l'utilizzazione del risparmio delle famiglie virtuose. E senza neppure scusarsi.