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Esce in Italia "Uomini di Dio"

I monaci di Tibhirine
e il sondaggio dell'"Economist"


di Lucetta Scaraffia

L'ultimo numero dell'"Economist" presenta i risultati di un sondaggio fatto presso i lettori a proposito della religione. È stato loro chiesto, infatti, se ritenevano la religione forza "per il bene" oppure nociva. Le ragioni delle parti sono state difese sull'autorevole rivista britannica da due giornalisti, ma Mark Oppenheimer, che è intervenuto per la religione, non è stato molto convincente. Ha portato tre motivazioni a favore, di cui una decisamente originale e difficilmente sostenibile:  "La religione diverte". Non c'è quindi da stupirsi se la netta maggioranza dei lettori - precisamente il 75 per cento - ha votato contro.
Sono certa che se agli stessi lettori fosse stato mostrato il film di Xavier Beauvois Uomini di Dio - più bello è il titolo originale, Des hommes et des Dieux - avrebbero espresso un'opinione diversa.
Questo film - che in Francia ha ottenuto un grande successo, fino a raggiungere i due milioni e mezzo di spettatori - racconta infatti in modo semplice e reale, senza risvolti agiografici, la vita e la morte dei monaci cistercensi di Tibhirine, sulle montagne del Maghreb.
Una vita semplice, dedicata ai lavori manuali, che garantiscono la loro sopravvivenza, allo studio e, naturalmente, per gran parte della giornata riservata alla preghiera. I monaci non hanno la missione di evangelizzare, ma solo quella di portare una testimonianza d'amore e di preghiera. La loro vita quotidiana è quindi semplice:  essi vogliono essere solamente "un segno sulla montagna" e non un'opposizione, un segno di fratellanza con un popolo in gran parte musulmano.
Si scontrano però con lo scoppio dell'ostilità fra un Governo, che viene definito corrotto, e una ribellione fondamentalista. I monaci sanno a cosa andranno incontro, e umanamente hanno paura. Alcuni - i più giovani - pensano di andarsene, come sollecita il Governo. Ma il superiore chiede loro un tempo di riflessione, e questo periodo servirà per arrivare, tutti, alla stessa decisione:  restare e affrontare il martirio.
Il percorso che li porta alla scelta è ben narrato, per tutti simile e per ognuno diverso, e mirabilmente rappresentato in un'ultima cena che li vede riuniti e durante la quale - sorseggiando un bicchiere di vino che già simboleggia il sacrificio - ciascuno di loro rifletterà nel volto la paura per ciò che lo aspetta e la serenità della decisione presa.
La caratteristica più bella del film è che mostra i monaci come uomini comuni:  con le debolezze e le paure degli uomini comuni, esseri umani come noi, fragili, che nel corso di giornate sempre più cupe attingono coraggio dalla preghiera. È infatti nel canto dei salmi e nelle orazioni che trovano la risposta che cercano:  non possono lasciare la popolazione del villaggio con la quale hanno vissuto fino ad allora. Non nel momento del bisogno.
Il loro messaggio sarà chiaro:  per amore dei musulmani del Maghreb accettano di andare incontro al martirio, dimostrando così che il conflitto fra le religioni, come ogni conflitto, si può annullare con un atto di amore.
In questo film abbiamo la religione cattiva - cioè la distorsione fondamentalista che ripugna agli stessi credenti musulmani - e quella buona messe a confronto, in una narrazione che sa farci vedere quanta luce può irradiare una scelta di amore totale. Anche i lettori dell'"Economist" avrebbero avuto molte difficoltà a ignorarlo.