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La proposta di un mercato legalizzato di organi umani

Società cannibali

di GIULIA GALEOTTI

La proposta non è nuova. Già nel 2006, il "San Francisco Chronicle" ospitò un intervento del premio Nobel per l'economia Gary Becker - poi rilanciato da "The New York Times" e "The Wall Street Journal" - nel quale si chiedeva l'apertura di un mercato legale per la vendita di organi umani. L'appello nasceva, oltre che dalla consapevolezza della diffusione del turismo dei trapianti, dalla considerazione che un atto disperato del quale un tempo ci si vergognava - l'acquisto clandestino di un rene o di un fegato nel timore di non sopravvivere alle lunghe liste d'attesa americane - era ormai sostanzialmente diventato un comportamento socialmente accettato. Recentemente è stata Jessica Pauline Ogilvie ad auspicare la legalizzazione del mercato dei reni dalle pagine del "Los Angeles Times": se fosse legale venderli e acquistarli, tante persone povere avrebbero di che vivere e molti malati risolverebbero i loro problemi.
Il dibattito è acceso. In presenza di un consenso pieno e informato, con tutta l'assistenza medica necessaria prima e soprattutto dopo il prelievo, e alla luce dell'incontrovertibile dato che, piaccia o meno, il fenomeno è ormai diventato una realtà diffusa, in molti - compresi alcuni medici - ritengono che la compravendita del rene andrebbe legalizzata. Del resto, quanto più le democrazie occidentali si orientano verso l'autodeterminazione del singolo nelle scelte relative a salute e vita, tanto più è verosimile che gli ostacoli giuridici a livello di principio vengano presto superati.
I contrari obiettano che un tale mercato beneficerebbe solo i ricchi; che escludendo il dono si verrebbe a determinare una forma di moderna schiavitù; che è una menzogna giuridica parlare di consenso pieno e libero dinnanzi alla disperazione che ti induce a vendere una parte di te; che una donazione commerciale legalizzata avrebbe un impatto negativo sulla donazione volontaria di organi da cadavere, che rappresenta invece la principale fonte di risorse in molti Paesi. Anche Giuseppe Remuzzi, medico italiano specializzato in trapianti, pur riconoscendo la disperazione di tanti, ha scritto sul "Corriere della Sera": "Non possiamo accettare che ci sia compravendita di organi, nemmeno regolamentata per legge".
Condividendo appieno l'opposizione a un simile commercio, il problema morale non risulta tanto quello del venditore. Nella storia umana, le persone disperate hanno compiuto una triste gamma di gesti disperati per salvare se stessi e i propri cari. Se la scienza medica permette oggi di superare la frontiera dell'immaginabile, la ratio sottesa è la medesima: la disperazione folle indotta dalla povertà. E società che "legittimano" questa disperazione sono società incapaci di difendere i loro cittadini.
Il problema più grave, però, è imputabile all'acquirente. Al di là di qualsiasi altra considerazione, infatti, il vero nodo risiede qui: siamo davvero disposti ad accettare che una persona acquisti la salute, o che si salvi la vita, comprando pezzi di ricambio dal corpo altrui?
Il sospetto che società aperte a questo mercato siano, di fatto, società cannibali è drammatico e reale.