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A cinquanta anni dalla morte di Dag Hammarskjöld

L'impegno di un cristiano

di ULLA GUDMUNDSON
Ambascaitore di Svezia presso la Santa Sede

Lo scorso 18 settembre, la Svezia e il mondo hanno commemorato il cinquantesimo anniversario della morte di Dag Hammarskjöld, Segretario generale delle Nazioni Unite dal 1953 al 1961, deceduto in un incidente aereo a Ndola, attualmente nello Zambia.
Durante il suo mandato, Hammarskjöld divenne noto come difensore coraggioso del diritto delle Nazioni piccole a non essere calpestate dalle grandi potenze. Hammarskjöld interpretò la Carta delle Nazioni Unite in maniera creativa per dare al Segretario generale la libertà di agire e di elaborare nuove modalità per prevenire conflitti e ripristinare la pace. I caschi blu dell'Onu, utilizzati per la prima volta in un'operazione di pace a Suez nel 1956, sono stati visti da allora in molte altre parti del mondo. Sono un esempio dell'interpretazione creativa di Hammarskjöld della missione delle Nazioni Unite. La "diplomazia silenziosa", oggi quasi un luogo comune nelle relazioni internazionali, è un'espressione coniata da Dag Hammarskjöld in contrapposizione alla "diplomazia delle riunioni" del tempo. Credeva fermamente nell'incontro confidenziale e personale al più alto livello come modo per superare le situazioni di stallo. Celebre fu il suo viaggio a Pechino per incontrare il Premier cinese Chou-en Lai. Fu durante il viaggio per andare a sondare l'animo di Moïse Tshombe, capo della Repubblica autonomista di Katanga, sulle possibilità di riconciliare un Congo lacerato dalla guerra civile, che Hammarskjöld trovò la morte, in un volo oscurato e silenzioso, nel 1961. Una volta, in un'intervista, Hammarskjöld descrisse le Nazioni Unite come una "Chiesa" secolare.
Essenzialmente intendeva che l'Organizzazione mondiale era l'espressione di un'idea universale, dell'idea dell'uguaglianza di esseri umani e di Nazioni e del desiderio di pace. Pare che abbia trascorso le sue prime tre settimane di mandato facendo visita e stringendo la mano a ognuno dei tremila uomini e donne del Segretariato delle Nazioni Unite.
Tuttavia, Dag Hammarskjöld non avrebbe avuto successo come Segretario generale se fosse stato un idealista e un utopista. Piuttosto, il suo successo si basò su una valutazione realistica della situazione mondiale e del campo delle possibilità, per citare Antonio Gramsci. Era un visionario concreto. Sosteneva la supremazia del diritto internazionale sulla forza bruta, ma non voleva che il diritto di veto dei cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza fosse rimosso dalla Carta perché quel veto rispecchiava la divisione reale del potere nel mondo. "Quando potremo rimuovere il veto, significherà che non avrà più importanza", disse, citando il politico indiano Krishna Menon. Nel suo libro sulla dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti umani, A World Made New, Mary Ann Glendon, avvocato e già Ambasciatore degli Stati Uniti presso la Santa Sede, cita Hammarskjöld per aver istruito il capo del dipartimento dei Diritti umani nel Segretariato a "non dare all'aereo più gas di quanto è necessario per volare" (un'osservazione dalla sfumatura stranamente profetica, date le circostanze della sua morte). Probabilmente Hammarskjöld comprese il potenziale esplosivo della nozione di diritti umani universali, potenziale che, vent'anni dopo, durante il periodo della distensione tra le superpotenze, sarebbe stato iscritto nell'Accordo di Helsinki e avrebbe dato impulso a movimenti per la libertà quali Solidarno?? in Polonia e Charta 77 in Cecoslovacchia.
Tuttavia questo accadeva negli anni Cinquanta. Il mondo tratteneva il respiro di fronte alla minaccia della guerra nucleare. A sostenere le enormi pressioni del suo mandato e a conservarlo integro come persona furono la sua profonda spiritualità e la sua devozione a Dio. A un attento ascoltatore dei suoi discorsi ufficiali e delle interviste non sfugge questa dimensione spirituale. È non certo una coincidenza che il testo di Hammarskjöld che viene letto più spesso sia Markings ("Tracce di cammino"), la sua autobiografia spirituale che consta di schizzi e aforismi la cui profondità parla direttamente all'anima e rivela la lotta interiore di una persona che è stata in costante "negoziato con Dio". Ai suoi occhi la maturità spirituale era la qualità più importante dei leader mondiali, dei funzionari civili e dei diplomatici. Per lui la libertà non equivaleva a un limitato individualismo, ma al coraggio e all'umiltà di seguire una vocazione e di vivere secondo la propria coscienza. Si resta colpiti dalla somiglianza fra questa definizione di libertà e quella espressa da Benedetto XVI, nel libro intervista con Peter Seewald. Ascoltare una conversazione fra loro sarebbe stato affascinante, anche se non necessariamente avrebbero concordato su tutto. Il cammino personale di Dag Hammarskjöld verso Dio fu decisamente cristiano ed è stato sottollineato che "Gesù è presente in ogni pagina di Markings". Fu la forza mistica e unificatrice della ricerca onesta e infinita di Dio, intrapresa dall'uomo lungo numerose vie, a essere centrale nella sua vita.