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Giovani e disoccupazione

Generazione tradita

di LUCA M. POSSATI

La rabbia dei manifestanti che da mesi invadono le piazze di mezzo mondo e che a volte si lasciano andare a episodi di ingiustificata violenza è quella di una generazione al palo. La lenta morte del liberismo degli anni Ottanta e Novanta sta lasciando un mondo spaccato in due, tra Paesi che non crescono più e sono popolati da masse di disoccupati, e Paesi che crescono troppo ma a prezzi altissimi in termini di diritti, di rispetto per l'ambiente e di crescente povertà. Di chi è la responsabilità? Di una politica vecchia, di Governi inoperosi, di un sistema culturale arretrato? O, al contrario, sono proprio i giovani a dover fare mea culpa? Secondo l'ultimo rapporto dell'Ilo (Organizzazione internazionale del lavoro), la generazione dei venti-trentenni è segnata da una pericolosa combinazione di disoccupazione elevata, crescente inattività e precarietà: difficile progettare un futuro accettabile, fare piani a lungo termine. Questa situazione "non si traduce soltanto in un sentimento di disagio provocato dal timore dei rischi sociali legati alla carenza di lavoro e all'inattività prolungata, ma potrebbe anche avere conseguenze nel lungo periodo in termini di livelli salariali più bassi e sfiducia nei confronti del sistema politico ed economico". Sta diventando impossibile per un giovane trovare qualcosa di più che un impiego part-time o sotto pagato, e questo fenomeno - forse per la prima volta nella storia - ha una dimensione planetaria: negli ultimi vent'anni in Medio Oriente e in Nord Africa circa un giovane su quattro si è ritrovato disoccupato, nonostante i progressi nel campo dell'istruzione.
Dal documento dell'Ilo emergono soprattutto due aspetti notevoli. Il primo riguarda i giovani sfiduciati, i cosiddetti inattivi che sono fuori dal sistema formativo e dal mercato del lavoro, e che non risultano nelle statistiche. In effetti, dati alla mano, il numero assoluto dei giovani disoccupati nel mondo è leggermente diminuito dopo il picco raggiunto nel 2009 (da 75,8 a 75,1 milioni alla fine del 2010, ovvero un tasso del 12,7 per cento) e dovrebbe scendere ancora a 74,6 milioni nel 2011, il 12,6 per cento. Tuttavia - secondo l'Ilo - il calo sarebbe dovuto soltanto al crescente numero di inattivi che, sfiduciati, abbandonano la ricerca di un nuovo impiego. In Europa, l'Ilo punta i riflettori verso l'Irlanda, dove il tasso di disoccupazione giovanile è aumentato dal nove per cento del 2007 al 27,5 per cento del 2010, ma che potrebbe risultare molto superiore includendo coloro che "si nascondono".
C'è poi un secondo aspetto sottolineato dal rapporto: i giovani nelle economie emergenti "si trovano intrappolati nel circolo vizioso della povertà da lavoro", ovvero sono costretti a lavorare in condizioni peggiori di chi non lavora o è inattivo nelle economie più avanzate. Ciò avviene soprattutto nei Paesi che oggi trainano l'economia mondiale. In realtà, recita il documento dell'Ilo, "se consideriamo l'elevato rapporto occupazione-popolazione dei giovani nelle regioni più povere, risulta evidente che i poveri non hanno altra scelta che lavorare".
Di fronte a un simile scenario, che cosa fare? Le nuove generazioni di oggi non godranno di quel sistema di assicurazioni sociali di cui i loro padri hanno usufruito. Non avranno pensioni, ammortizzatori sociali, assistenza sanitaria, risorse culturali e tutto quel che siamo abituati a chiamare welfare state. "I Governi faticano a trovare soluzioni innovative per intervenire nel mercato del lavoro, per esempio affrontando la discrepanza tra offerta e domanda di competenze, la ricerca di lavoro, la formazione imprenditoriale, sussidi per le assunzioni, queste misure possono fare la differenza" ha detto José Manuel Salazar-Xirinachs, direttore esecutivo del settore occupazione dell'Ilo. Per salvare il salvabile l'Ilo propone di sviluppare una strategia integrata per la crescita e la creazione d'impieghi che offra canali privilegiati ai giovani, di migliorare la qualità dei posti attraverso il rafforzamento della normativa internazionale, di investire nella formazione. Un bel programma, sulla carta.