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Nella visione di Montini

Un'anima
per l'Europa


di Andrea Possieiri

Se si volesse sintetizzare il pensiero di Paolo VI sull'Europa si dovrebbero utilizzare almeno tre parole: dialogo, solidarietà, identità. E fra tutti i suoi interventi, quello che forse riesce a riassumere meglio questi tre concetti - e che di fatto rappresenta una sorta di testamento spirituale sul processo unitario - è il messaggio inviato al Consiglio d'Europa il 26 gennaio 1977.
Il primo aspetto da sottolineare in questo documento - l'ultimo di una lunga serie di interventi sul Vecchio continente di Papa Montini - è lo stretto rapporto con la Populorum progressio. L'Europa secondo Paolo VI, infatti, legandosi alla prospettiva mondiale dell'enciclica, è, prima di tutto, un continente di pace e solidarietà. Un'Europa che, quindi, deve aiutare il progresso dei popoli più poveri e che non può essere percepita solo come un'unione commerciale. "Se l'Europa unita deve farsi - aveva detto l'8 settembre 1965 - ciò non deve essere una creazione artificiale", ma "generarsi come frutto di persuasione e di amore" e non certo "come risultato tecnico e forse fatale delle forze politiche ed economiche".
Accanto all'Europa solidale e di pace, quella del dialogo, rivolto a tutto il continente. Non solo dunque ai Paesi dell'Europa occidentale, di cui è riconosciuta l'importanza nella costruzione delle istituzioni comunitarie, ma aperto anche a laici e non credenti, e quindi anche all'Europa centrale e orientale dominata dai regimi comunisti. Da questo punto di vista la partecipazione della Santa Sede alla conferenza di Helsinki del 1975 fu molto importante. Sia perché quella conferenza rappresentò un momento di unione di tutti i Paesi europei all'insegna della sicurezza e della cooperazione, sia perché nell'Atto finale venne introdotto il principio della libertà religiosa.
Dal messaggio di Paolo VI al Consiglio d'Europa emerge infine un terzo aspetto, quello dell'identità europea, nel lessico montiniano quello dell'anima del continente. Il Pontefice è del tutto consapevole che "il cattolicesimo purtroppo non copre più che in parte l'area europea", ma è altrettanto convinto dell'importanza della tradizione cristiana, "fatto innegabile" e "parte integrante dell'Europa". Un argomento decisivo, questo, che ha accompagnato la vita di Montini, già da arcivescovo di Milano.
Il 12 settembre 1958, infatti, inaugurando nel cuore nelle Alpi centrali, a Motta di Campodolcino, una statua della Madonna con il titolo di Nostra Signora d'Europa, disse che l'unione europea che stava prendendo forma era una costruzione "fragile e precaria", oscillante "da stagione a stagione", senza una "palpitante interiore vitalità propria ed autonoma" ed era il prodotto di "forze estrinseche" che non volevano "cedere nulla della loro sovranità". Quello che serviva, dunque, secondo l'arcivescovo Montini, era "un'anima unica" che caratterizzasse l'Europa, perché solo così la sua unità sarebbe potuta essere veramente "forte, coerente, cosciente e benefica".
Probabilmente, mai come adesso, queste parole che lamentavano un'unione fragile e precaria, e auspicavano invece un'Europa solidale e con un'anima forte e coerente, brillano di nuova luce. Parole che non solo fanno da sfondo all'azione pastorale di Papa Francesco ma sono ormai largamente condivise anche da una nutrita schiera di laici. Basti pensare agli appelli alla "solidarietà europea" e al bisogno di "comunità" lanciati da figure come Jürgen Habermas e Zygmunt Bauman. Parole che, dunque, hanno bisogno di una traduzione concreta e nuova. Ovvero di una soluzione politica che superi la cosiddetta integrazione europea funzionalista a favore di una integrazione dei popoli in cui venga riconosciuta quell'anima profonda dell'Europa a cui faceva riferimento Paolo VI.

(© L'Osservatore Romano, 24-25 novembre 2014)