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La misericordia di Dio

Cuore pulsante del Vangelo

 

di Maurizio Gronchi

 

Misericordia è il primo e l’ultimo nome dell’amore di Dio: «Io sono l’Alfa e l’Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l’Onnipotente!» (Ap 1,8). Onnipotente perché misericordioso è Dio, che anticipa la caduta e risolleva sempre dopo di essa. Al centro della storia della salvezza dunque non è il peccato, ma ciò che lo precede e lo segue: il volto amoroso e compassionevole di Dio che brilla negli occhi di Gesù, il suo Figlio, l’unico capace di scrutare le profondità del cuore umano e di risanarlo. Questa la prospettiva mirabile che si dischiude con l’annuncio del giubileo straordinario della misericordia da parte di Papa Francesco.

Al fine di cogliere in profondità la sorprendente bellezza di questo dono offerto a tutti senza riserve, meritano di essere ascoltate alcune voci della tradizione cristiana, dalle quali attingere ulteriori motivi di riflessione. Tra queste, la prima è di Origene ( II-III secolo), che considera la passione dell’amore accesa nel cuore di Dio, dalla quale si dispiega un’interiore tenerezza. «Quando mi rivolgo a uno e lo supplico d’un favore, che abbia compassione di me, se è privo di pietà non lo tocca nessuna delle parole che gli dico; se invece è di animo sensibile e non ha alcuna durezza di cuore, mi presta ascolto, prova compassione per me e si dispiega dinanzi alle mie preghiere un’interiore tenerezza. Riguardo al Salvatore, fai conto che accada la stessa cosa. Egli è disceso sulla terra mosso a pietà del genere umano, ha sofferto i nostri dolori prima ancora di patire la croce e degnarsi di assumere la nostra carne; se egli non avesse patito, non sarebbe venuto a trovarsi nella condizione della nostra vita di uomini. Prima ha patito, poi è disceso e si è mostrato. Qual è questa passione che per noi ha sofferto? È la passione dell’amore. Persino il Padre, il Dio dell’universo, “pietoso e clemente” e di gran benignità, non soffre anche lui in certo qual modo? Non sai che quando governa le cose umane, condivide le sofferenze degli uomini? Infatti “il Signore tuo Dio ha sopportato i tuoi costumi, come un uomo sopporta quelli di suo figlio” (Dt 1,31). Quindi Dio prende i nostri costumi, come il Figlio di Dio porta le nostre sofferenze. Nemmeno il Padre è impassibile. Se lo preghiamo, prova pietà e misericordia, soffre di amore e s’immedesima nei sentimenti che non potrebbe avere, data la grandezza della sua natura, e per causa nostra sopporta i dolori degli uomini». (Omelie su Ezechiele vi, 6).

Il secondo prezioso pensiero viene da san Bernardo di Clairvaux (secolo XII), il quale aveva compreso che nell’esperienza umana del Figlio di Dio affonda le sue radici la misericordia divina: nel modo con cui Gesù sta di fronte al Padre, in certo senso è Dio stesso a sperimentare come l’uomo sta dinanzi a Lui. Seppure Dio è amore misericordioso dall’eternità, in Gesù, Egli impara la misericordia e per la sua compassione è in grado di offrirla in modo nuovo all’umanità.

Con queste parole antiche e mirabili, Bernardo esprimeva il mistero divino dell’eterna relazione d’amore trinitario che nel tempo si è fatto visibile e si è donato a noi: «Sull’esempio del nostro Salvatore, che volle patire per imparare a compatire, volle divenire misero per imparare ad aver misericordia affinché, come sta scritto di lui: “Dai patimenti sofferti conobbe a prova l’ubbidienza” (Eb 5,8), così imparasse anche la misericordia. Non perché prima di allora egli ignorasse che cosa fosse la misericordia  —  la sua misericordia si estende d’eternità in eternità — ma perché ciò che conosceva per natura da tutta l’eternità, l’ha appreso mediante un’esperienza che s’inseriva nel tempo» (I gradi dell’umiltà e della superbia. L’amore di Dio, 6).

Nel prossimo Anno santo, lo sguardo che la Chiesa è chiamata a indirizzare a tutti riflette il bagliore pasquale acceso negli occhi di Gesù rivolti al Padre e fissi nel cuore di ogni debole assetato d’amore, al quale offre il perdono e chiede di riconciliarsi col fratello. Il Signore Gesù, chino a scrivere  nella polvere bagnata dalle lacrime della peccatrice plasma la sua nuova creatura. «Rimasero in due, la misera e la misericordia», commenta sant’Agostino (Trattato sul Vangelo di Giovanni 33,5). Così, nel fango della storia, Dio rinnova il gesto primordiale della creazione, che adesso ha il nome di “misericordia”, proprio di Colui che si prende a cuore la miseria, il cui amore “viscerale” è «fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono» (Misericordiae vultus, 6).