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L’enciclica letta da una missionaria

Ecologia domestica

 

 

di Maria Barbagallo

Nel capitolo VI della Laudato si’ il Papa segnala l’importanza fondamentale della famiglia, nell’ambito della quale riceviamo le  “buone abitudini”, quelle che ci rimangono per tutta la vita. Dopo tanti anni che non vivo più in famiglia — perché sono anziana e ho un’altra famiglia —  mi accorgo di ripetere comportamenti che ho imparato da piccolissima, da adolescente e anche da giovane.

A quel tempo non si parlava di ecologia, ma si viveva in senso ecologico. Le persone della mia età venivano invitate a spegnere la luce se non era necessario tenerla accesa, a chiudere il rubinetto se perdevamo troppo tempo per lavarci, a usare l’acqua dove avevamo lavato l’insalata per innaffiare i fiori, a non strappare i fogli del quaderno, a non buttare rifiuti nella strada, a non maltrattare le piante e gli animali, a mangiare la sera quello che era avanzato dal pranzo. E noi ci lamentavamo se mettevamo i vestitini della sorella che ci aveva preceduto o usavamo i suoi libri. C’era stata la guerra e si doveva fare attenzione, ma l’educazione era quella.

L’esperienza poi ci ha insegnato che se non c’è educazione alla “cura” delle cose, si può anche essere  poveri e spreconi. Negli ambienti poveri è infatti necessaria una cultura dell’ambiente come in quelli agiati. Quando la famiglia è assente, la scuola, la parrocchia devono fare molto, molto di più. Sono bravi quei catechisti che, durante o alla fine dell’oratorio, del catechismo, del campeggio, fanno rimettere in ordine, pulire, raccogliere i rifiuti, separare la plastica dai cartoni, l’umido dal secco.

Un esempio: una suora era andata ad accompagnare un gruppo di volontari italiani in Argentina: un mese da dedicare ad una zona povera, tutti intorno ai  diciotto anni. Alla fine dell’esperienza quasi tutte le mamme andarono a congratularsi con la suora perché i figli erano tornati cambiati. «In che senso?», chiese la suora sperando di avere risposte spirituali.  I genitori erano invece contenti perché  le ragazze e i ragazzi avevano imparato a rifarsi i letti, a lavare i propri indumenti sporchi, a preparare la tavola, a lavare i piatti, a spazzare il cortile e perfino a cucinare. La suora era rimasta di stucco i primi giorni, quando entrava nelle loro camere e vedeva scarpe e calze sparsi dappertutto. C’erano voluti quindici giorni di “ecologia domestica”, per creare un po’ di ordine e abituare i ragazzi a vivere insieme dignitosamente.

Ancora più importanti sono quei comportamenti che — come dice il Papa  — «producono effetti per tutta la vita», cioè i comportamenti che rivelano il giusto controllo dei sentimenti, che generano la capacità di vivere insieme, di integrarsi come caratteri e come culture, di accettarsi e perdonarsi.

Nella zona di Torino dove ho vissuto e insegnato per vari anni, negli anni Sessanta c’era il boom dell’immigrazione meridionale. L’area rigurgitava di persone che si arrangiavano vivendo nello stesso appartamento anche in due o tre famiglie,  sempre molto numerose. Strade e caseggiati erano ridotti a un disastro. Ebbi modo di apprezzare la direttrice della nostra scuola che arrivò ad avere il 90 per cento di bambini immigrati. Quella suora riuscì a rendere la scuola un modello di integrazione, nonostante il rifiuto che si respirava per il sud. Non sentii mai parlare di “terroni” tra i bambini anzi, dopo pochi anni quasi non si distinguevano più i bambini del sud da quelli torinesi.  La scuola era stata capace di creare un ambiente di famiglia accogliente, con molte difficoltà, ma con risultati veramente buoni. Le maestre avevano dovuto fare miracoli per portare decine e decine di bambini allo stesso livello d’istruzione dei bambini torinesi. Spesso il dopo scuola era ancora più impegnativo della scuola, perché bisognava “curare” i troppi bambini che rimanevano indietro e che parlavano a malapena l’italiano. In quel tempo anche la Chiesa torinese lavorò molto per creare l’apertura necessaria all’accoglienza. Le espressioni “grazie”, “scusami”, “per favore”  erano tenute in grande considerazione.

L’estetica e l’ordine, la coltivazione di fiori sulle finestre delle aule e nelle aiuole del giardino, la celebrazione delle feste liturgiche, la pulizia personale ed ambientale, l’educazione alla coscienza artistica, lo sviluppo dei talenti naturali, sono parte integrante di questa ecologia che deve essere inculcata con la quotidianità della vita. I bambini sono sensibili se educati  a scoprire i doni che Dio ci ha fatto e rendersi conto del valore delle cose che usano. Si impara a cedere il posto ad una persona anziana, a portare il peso di una persona troppo carica, a fare attraversare la strada ad un disabile, a sopportare una vecchietta che ripete sempre le stesse cose, a regalare qualcosa di noi stessi, non per essere  degli eroi, ma per “buona abitudine”.

L’educazione nella forma ecologica consigliata dal Papa, in famiglia, nella scuola, nella Chiesa, nelle varie forme di aggregazione, ci conduce a dire che tutto quello che vediamo nel creato è cosa buona: «un’opera meravigliosa» che Dio «ha affidato alla nostra cura», scrive il Pontefice nella lettera con cui ha istituito la giornata mondiale di preghiera per la cura del creato. E ancora di più: ci educa a ricevere e a dare  il buon esempio in casa, in treno, sulla strada, al lavoro. Così si diventa educatori  gli uni degli altri in una società che ne ha tanto bisogno.

Questo si impara da bambini, in quei momenti in cui la mamma insegna a guardare il cielo, a osservare le stelle, o l’ultima luce del tramonto, a sentire il profumo dei fiori, ad accarezzare un pulcino appena nato, a sentire il battito del cuore del fratellino che ha  ancora in seno. Così fino alla fine quando «ci incontreremo faccia a faccia con l’infinita bellezza di Dio (cfr.  1 Corinzi, 13, 12) e potremo leggere con gioiosa ammirazione il mistero dell’universo, che parteciperà insieme a noi della pienezza senza fine».

(© L'Osservatore Romano 12 agosto 2015)