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I bambini vittime della guerra

Generazioni perdute

 

di Lucetta Scaraffia

La resurrezione, che stiamo per festeggiare, dovrebbe orientare lo sguardo di ogni credente verso il futuro, verso quel momento in cui la morte sarà vinta. Da questo mistero nasce la tradizione cristiana, dalla quale deriva la concezione del tempo nelle società occidentali, poi divenuta anche una sua misurazione accolta da tutto il mondo: un tempo che, a partire dall’incarnazione, si muove in modo lineare verso il futuro, verso la resurrezione.

            Mai come oggi è necessario orientare i nostri sguardi in questa direzione: la secolarizzazione, accompagnata da un aumento dell’età media mai registratosi nel mondo occidentale, ha fatto sì che questa concezione progressiva del tempo venisse offuscata, se non addirittura dimenticata. Il futuro come dimensione lontana a cui pensare sta scomparendo, i traguardi di cui ci interessiamo sono sempre molto vicini: le prossime elezioni, i cambiamenti ecologici e bio-tecnologici immediati invece del loro effetto sul lungo periodo.

            Non credendo più alla resurrezione siamo diventati miopi, e poco interessati a cosa succederà dopo di noi. La Chiesa, che vive in un tempo millenario, non può aderire a questa visione limitata: sa che andiamo verso la resurrezione, e guarda ai fenomeni che accadono con attenzione diversa. Ne ha dato un saggio acuto e incisivo l’arcivescovo Silvano Tomasi, nel discorso che ha tenuto a Ginevra il 17 marzo scorso al Consiglio per i diritti dell’uomo, organismo delle Nazioni unite.

            Tomasi ha centrato la sua attenzione sui bambini vittime dei conflitti, ma non per aggiungere deprecazione a deprecazione, denuncia a denuncia, per il dolore e le sofferenze che, come sappiamo tutti, sono loro inferte: il rappresentante del Papa ha invitato a spingere lo sguardo verso il futuro, alle vite miserabili che attendono questi “bambini fantasma”. Definiti così perché come rifugiati sono senza documenti, privi quindi della possibilità di frequentare la scuola – che si tiene comunque, spesso, anche in lingue che non conoscono – e sovente anche privati della loro famiglia, smembrata nella fuga e mai ricostituita.

            Questi bambini sono depredati di un’educazione adeguata, e quindi pagheranno per tutta la vita l’anormalità della loro situazione. Essi costituiscono, come ha detto icasticamente Tomasi, una “generazione perduta”. Perduta perché saranno chiusi loro gli accessi a una vita dignitosa, perduta perché dalla rabbia che stanno incamerando può nascere altra violenza. L’arcivescovo non si limita a denunciare la sofferenza dei bambini profughi – che sono ormai un numero spaventoso, in varie parti della terra – ma invita a considerare le conseguenze future della poca attenzione con la quale li guardiamo. Quante generazioni perdute ci sono al mondo che renderanno più difficile la vita futura, la loro e quella degli altri?

            Speriamo che la concezione del tempo torni a guardare in modo lineare in avanti. Speriamo che la resurrezione di Pasqua ci aiuti a guardare di nuovo al futuro, a riallacciare i rapporti con le giovani generazioni del mondo di cui siamo tutti responsabili.

(© L'Osservatore Romano 3 aprile 2015)