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Nella cripta bizantina di Carpignano Salentino

L’oriente che è in noi

di Ferdinando Cancelli

Un numero di telefono cellulare scritto su un piccolo e quasi invisibile cartello sulle grate che chiudono l’accesso alla piccola cripta bizantina di Carpignano Salentino. Squilli senza risposta nel calore opprimente del pomeriggio. «Magari sta dormendo — ci dice un contadino che ha già capito cosa vorremmo visitare — ve lo vado a chiamare io». Tra sbuffi di fumo e rumori metallici l’Ape si allontana e scompare inghiottita dal reticolo di viuzze del paese.

Poco dopo arriva l’addetto e ci dischiude un mondo sotterraneo scavato nel tufo e ricoperto di affreschi, alcuni dei quali antecedenti l’anno mille e di deliziosa fattura. Un Pantocratore, la Vergine, numerose rappresentazioni di santa Cristina: alcuni santi ci osservano dalle pareti, silenziosi testimoni dello scorrere del tempo nel caldo umido di questa nicchia di Salento nascosto a occhi affrettati.

Emergiamo come da un mondo a parte, un lembo di paradiso sotterraneo, per tornare nella terra dell’olio, del vino e dell’acqua. Non quella salata — quest’anno troppo calda eppure tanto ambita delle spiagge — ma quella dolce, fresca e anch’essa nascosta nel sottosuolo di questo angolo estremo d’Italia, così abbondante da fuoriuscire nel mare da mille sorgenti nascoste.

La cripta di Santa Cristina è solo l’annuncio. La terra dei martiri di Otranto — morti il 14 agosto 1480 per mano dei turchi e canonizzati da Papa Francesco il 12 maggio 2013 — è uno scrigno di fede. A chi si voglia sottrarre al turismo caotico dei litorali, le zone interne tra tappeti di ulivi offrono il ristoro di vere oasi.

Passeggiare accanto all’antichissimo mosaico della cattedrale idruntina, perdersi negli affreschi della chiesa di Santa Caterina d’Alessandria o toccare con mano la roccia sulla quale, secondo la tradizione, si sedette san Pietro al suo arrivo a Galatina, entrare nella fresca penombra della cattedrale di Ugento o nello stesso paese lasciarsi guidare tra i campi dorati al tramonto verso la cripta del Crocefisso e di nuovo sentirsi accolti dai tanti fedeli che ci hanno preceduti.

C’è una schietta cordialità e un profondo rispetto nello sguardo di chi ci permette di scoprire questi luoghi spesso dimenticati dalle masse balneari, luoghi che brillano pulitissimi e ordinati e che parlano di una fede che passa ancora immutata da una generazione all’altra. «È proprio là in fondo alla via — ci dice un’anziana signora seduta a cucire sulla porta di un vicolo di Copertino nel tardo pomeriggio — non potete sbagliare». Vinto il timore per due rari forestieri che si avvicinano all’improvviso, sul suo volto segnato dalle rughe compare un sorriso felice e disteso: «San Giuseppe da Copertino vi aspetta nella sua Stalletta» avrà pensato la signora non sapendo che proprio lei, con la sua bellezza saggia, di quella santità è l’orma visibile tra le povere case del paese.

L’Oriente che è in noi scriveva Antonio Maglio per intitolare una serie di scritti pubblicati nel 1984 sul «Quotidiano» di Lecce, Brindisi e Taranto: è forse questo profumo d’oriente a rendere questa terra attraversata da tanti popoli così cara al nostro cuore di semplici ospiti che si sono sentiti accolti come amici dai salentini di oggi e da quelli di ieri. È questo oriente che ormai è in noi a farci capire che qui è ancora possibile credere a un futuro diverso, un futuro che non costruiremo da soli.

 

(© L'Osservatore Romano 9 agosto 2015)