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Debolezze europee di fronte all’emergenza dei profughi

Le ragioni di un’unione

 

di Giuseppe Fiorentino

Sono sedici i profughi che per primi hanno sperimentato le nuove restrittive regole imposte dall’Ungheria, la quale, dalla mezzanotte del 15 settembre,  considera l’ingresso illegale nel proprio territorio come un reato punibile con l’espulsione o la detenzione fino a tre anni. Prima dell’entrata in vigore della normativa, in tanti hanno cercato di varcare il confine.

Un confine che ormai appare invalicabile e non solo per il filo spinato che separa il territorio magiaro dalla Serbia, con tanto di militari a cavallo dislocati come deterrente. Ciò che appare davvero insormontabile è la persistente incapacità dell’Europa di riagganciarsi ai propri valori fondanti. Tanto che, dopo il fallimento dell’ennesimo e inutile (o quasi) vertice dedicato alla questione delle migrazioni, ci si potrebbe domandare se vale ancora la pena parlare di Europa unita.

E pensare che la riunione dei ministri degli Interni di ieri, 14 settembre,  era stata convocata — ben due settimane fa — allo scopo di trovare «misure immediate» per rispondere all’emergenza. Tanta fretta si è risolta in un nulla di fatto con i Ventotto ancora divisi sul programma di accoglienza di circa centoventimila  profughi, mentre la Turchia  da sola ne ospita quasi due milioni. Tutto è stato rinviato all’8 ottobre per un summit dove, a differenza di quello ieri, le decisioni verranno prese non all’unanimità, bensì a maggioranza qualificata. Ma è da ritenere che le Nazioni contrarie alla ridistribuzione dei profughi sulla base di quote stabilite difficilmente accetteranno una decisione presa con il loro voto contrario.

Nel frattempo numerosi Paesi, vista la mancanza di un’intesa, hanno ripristinato i controlli alla frontiera, in deroga al trattato di Schengen che a questo punto non pochi osservatori giudicano a rischio. E se uno dei principi europei — come quello della libera circolazione delle persone — vacilla sotto la spinta di alcune decine di migliaia di migranti, significa che l’idea stessa di unione è davvero debole. Debole perché il processo che ha condotto all’allargamento verso l’attuale formato a ventotto è stato probabilmente intrapreso in base a valutazioni economiche e strategiche, sicuramente importanti ma che da sole non bastano a garantire il senso di una vera unione.

A opporsi con più forza al principio delle quote obbligatorie di profughi da ospitare sono proprio quei Paesi centro-europei che, dopo l’implosione dell’impero sovietico, hanno potuto sperimentare la solidarietà dei vicini occidentali che hanno accolto migliaia e migliaia di immigrati. Oggi il senso di quella solidarietà appare dimenticato e l’immagine stessa dell’Europa ne viene deturpata.  Di fronte alla crisi dei profughi —  ha detto oggi l’Alto commissario dell’Onu per i rifugiati António Guterres intervenendo all’Europarlamento —  ognuno degli Stati membri dell’Ue prende le proprie misure. «È come se ogni Paese fosse un pezzo di un puzzle che fa quello che vuole e questo dà un’immagine terribile al resto del mondo».

Per ottenere credibilità agli occhi del mondo l’Europa deve quindi superare i suoi dubbi e mostrare coesione nella risposta all’emergenza dei profughi. Solo così potrà recuperare quella spinta ideale — ora del tutto mancante — che le consentì di emergere dalle macerie del secondo conflitto mondiale, in nome della solidarietà e della fratellanza tra popoli. Si tratta, in fondo,  di ritrovare le ragioni stesse di un’unione che oggi sembra scossa dalle fondamenta.

 

(©L'Osservatore Romano 16 settembre 2015)