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Il dibattito in Francia su aborto e sedazione profonda 

Clausola di coscienza

 di Ferdinando Cancelli

«Un medico ha il diritto di rifiutare di prestare delle cure per ragioni professionali o personali, eccetto il caso di una situazione di emergenza o se dovesse venire meno ai propri doveri di umanità». Così recita l’articolo 47 del  codice di deontologia medica francese che tutela il diritto dei medici alla cosiddetta «clausola di coscienza», il rifiuto appunto di prestare la propria opera per ragioni di coscienza. Un diritto che non si limita a situazioni normate, nelle quali si dovrebbe parlare di «obiezione» più che di «clausola», ma che si estende anche a quanto, ed è moltissimo, non è normato eppur fa parte della pratica clinica quotidiana.

Il quotidiano «La Croix» nell’edizione del 3 marzo sottolinea come tale clausola rischi prossimamente di vacillare in Francia: il 18 febbraio scorso alcune deputate della delegazione per i diritti della donna hanno «annunciato l’intenzione di depositare, in occasione dell’esame del progetto di legge sulla sanità di Marisol Touraine, degli emendamenti miranti a sopprimere la clausola di coscienza specifica che permette ad un medico di rifiutarsi di praticare l’interruzione volontaria di gravidanza». In pratica non basterebbe più, come afferma il codice deontologico attuale, «orientare il paziente verso un collega che potrebbe curarlo», in questo caso praticare l’aborto, ma il sanitario sarebbe costretto a procedere lui stesso.

Ad essere potenzialmente modificata in questo senso sarebbe quindi la legge del 1975 che ha legalizzato l’aborto in Francia e, fatto un passo in questa direzione, potrebbe poi essere la volta dei due articoli del codice di sanità pubblica che affermano che un medico non è tenuto a praticare una sterilizzazione a fini contraccettivi o a partecipare a ricerche sugli embrioni e così via.

L’Ordine nazionale dei medici francesi, il collegio dei ginecologi e le ostetriche hanno nettamente rigettato questa prospettiva, sottolineando per bocca del dottor Jean-Marie Faroudja come non si comprenda che «un diritto fondamentale di libertà e di coscienza possa essere rifiutato ad un medico mentre continuerebbe a far parte dei diritti inalienabili di ogni cittadino francese».

L’onda di marea ideologica, così violenta da travolgere e soffocare il concetto stesso di coscienza, rischia di inquinare anche l’ormai imminente discussione dell’Assemblea Nazionale sulla proposta di legge Claeys-Leonetti sul fine vita. Se infatti per un verso si invoca la limitazione della libertà dei medici in tema di aborto, all’estremo opposto, quasi in una risacca contraria, alcune voci si sono levate per invocare la clausola di coscienza a proposito della procedura di sedazione profonda in presenza di sintomi refrattari in fine vita, come se la sedazione fosse una pratica eutanasica. Tra le poche voci lucide quella di Jean Leonetti, l’autore della legge del 2005: «istituire la clausola di coscienza — dichiara il senatore — sarebbe dare un cattivissimo segnale: significherebbe infatti dire che la sedazione è fatta per dare la morte» mentre il suo solo obiettivo «è quello di lenire le sofferenze refrattarie» ai comuni farmaci.

Un figlio che sta per nascere o un malato che sta per morire che cosa chiedono? Il primo, parrebbe banale dirlo, di venire al mondo, il secondo, sembrerebbe scontato, di vedere lenite le proprie sofferenze. Entrambi di essere accolti come membri preziosi per la società. Il solo problema è che nessuno dei due ha voce in capitolo, troppo piccolo il figlio, troppo debole il malato. E noi dobbiamo guarire per tornare a sentire la loro voce sottile, dobbiamo tornare alla terra ferma della retta coscienza e uscire dal mare della confusione e dell’egoismo nel quale incautamente ci siamo avventurati.

 

(©L'Osservatore Romano 5 marzo 2015)