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La lotta alla tratta negli obiettivi del millennio

Per spezzare milioni di catene

di Giuseppe Fiorentino

«Prendere misure immediate ed efficaci per sradicare il lavoro forzato, per mettere fine alla schiavitù moderna e al traffico di esseri umani, per assicurare la proibizione e l’eliminazione delle peggiori forme di lavoro infantile, inclusi il reclutamento e l’uso di bambini-soldato, e per giungere entro il 2025 all’eliminazione del lavoro minorile in tutte le sue forme». È uno dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile individuati ora dalle Nazioni Unite nella ridefinizione dei Millennium Development Goals varati al volgere del secolo. Il riferimento esplicito alle moderne schiavitù e al traffico di esseri umani — non contemplato precedentemente — è stato inserito grazie alla paziente opera di mediazione intrapresa da numerosi attori internazionali, tra i quali spiccano le Pontificie Accademie delle scienze e delle scienze sociali.

Il traguardo raggiunto è certamente di rilievo, perché per la prima volta i Paesi membri dell’Onu dovranno impegnarsi a sopprimere ogni forma di schiavitù ancora esistente, recependo i numerosi appelli lanciati da Papa Francesco sin dall’inizio del pontificato. Appelli che avevano già trovato risposta nelle molteplici iniziative intraprese dalle due accademie papali, appuntamenti di dimensione internazionale che hanno richiamato in Vaticano numerose personalità tra cui lo stesso segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, a testimonianza di una rinnovata consapevolezza.

Il più recente di questi incontri ha visto sindaci di grandi città del mondo riflettere sulla connessione tra schiavitù moderne e cambiamenti climatici. Perché le forme di crudele sfruttamento a cui gli esseri umani sono oggi sottoposti sono molto lontane da quelle di alcuni secoli fa, più complesse e quindi più difficili da prevenire e combattere.

Oltre che alla guerra, le schiavitù moderne sono infatti correlate alla crisi ecologica denunciata da Papa Francesco nella Laudato si’. Migliaia e migliaia di persone nei continenti più poveri sono costrette ad abbandonare la propria terra a causa della mancanza di risorse o perché le nuove condizioni climatiche non consentono il sostentamento. Sono situazioni sempre più frequenti che espongono i migranti — quando riescono sopravvivere a viaggi pericolosissimi che spesso si concludono con un respingimento — al rischio di cadere nelle mani di trafficanti senza scrupoli e di imboccare la spirale perversa del lavoro forzato, della prostituzione infantile, dell’accattonaggio. Una realtà durissima che coinvolge molte più persone di quanto si pensi. Secondo gli ultimi dati disponibili, relativi al 2014, il numero delle persone ridotte in schiavitù nel mondo supera i trenta milioni. E non passa praticamente giorno senza qualche drammatica notizia. Come quella proveniente dal Camerun, dove la polizia ha rinvenuto una settantina di bambini tenuti in prigionia, alcuni dei quali con evidenti segni di maltrattamento. Due giovani ragazze erano state addirittura costrette a “sposare” il loro aguzzino.

Ma non sono solo i Paesi africani, o quelli che vengono definiti in via di sviluppo, a essere afflitti da questa piaga. Gli studi dimostrano come il fenomeno interessi un numero crescente di Nazioni ricche, meta di un’immigrazione senza garanzie, una zona grigia in cui le persone possono essere impunemente sfruttate.

L’impegno a combattere concretamente le schiavitù moderne e il traffico di esseri umani è stato finora assunto soprattutto dai leader religiosi, come dimostra la dichiarazione congiunta sottoscritta il 2 dicembre 2014, su iniziativa del Papa, da esponenti di altre confessioni cristiane, dell’ebraismo, dell’islamismo, dell’induismo e del buddismo. In essa viene ribadita la volontà di agire per sradicare questo crimine contro l’umanità e per restituire libertà e dignità alle vittime.

Ora con i nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile anche le Nazioni Unite hanno recepito questa urgenza. E c’è da augurarsi che i singoli Paesi membri, così come le istanze internazionali, adottino finalmente provvedimenti concreti in favore di milioni di persone ancora “in catene”.

(© L'Osservatore Romano 22 agosto 2015)