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La domenica delle Palme secondo Severo di Antiochia

Siede sull’asinello riposa sui santi

 

di Manuel Nin

Il 31 marzo 513, domenica delle Palme, Severo, patriarca di Antiochia, nell’omelia spiegò la celebrazione innanzi tutto in continuità con la liturgia del giorno precedente, quando era stato letto il brano evangelico della risurrezione di Lazzaro: «Dopo essere sceso fino a Betania, il Signore risuscitò Lazzaro, che era stato messo nella tomba da quattro giorni, spezzando la forza della morte che doveva uccidere completamente quando discese lui stesso negli inferi per liberare le anime ivi rinchiuse».

Secondo la spiegazione del patriarca antiocheno, l’ingresso a Gerusalemme manifesta la divinità di Cristo: «E Gesù, che sapeva quello che doveva capitare, cioè che i bambini e la folla gli sarebbero andati incontro, fece in modo che fosse un ingresso degno di Dio e allo stesso tempo simbolico, poiché diventava per noi prefigurazione della sua seconda venuta nella gloria».

Nell’omelia vi è una lettura cristologica ed ecclesiologica del puledro d’asina su cui Cristo siede. L’asino raffigura le nazioni pagane chiamate alla fede e riceve su di sé i mantelli (e cioè le dottrine) degli apostoli, e su questi Gesù siede: «Quando i credenti si sono rivestiti delle virtù apostoliche come di vestiti, allora la grazia di Gesù, o piuttosto Gesù stesso si è seduto su di loro, in loro ha abitato e su essi ha riposato, come siede sui cherubini lui che è santo e riposa sui santi».

Quindi il vescovo si sofferma a commentare il significato dei rami di ulivo tagliati dalla folla esultante: «La pianta dell’ulivo indica la riconciliazione che viene da Dio e la sua carità verso di noi, elargita non a causa della nostra giustizia bensì per la sua misericordia. Allo stesso modo una colomba con un ramo di ulivo nel becco indicò la fine del diluvio nei giorni di Noè».

Il predicatore commenta poi l’aggiunta del vangelo di Giovanni («Quando udirono che Gesù arrivava a Gerusalemme, presero rami di palma e uscirono al suo incontro»), e anche in questa rintraccia un simbolo: «La palma ci fa vedere che veniva dal cielo colui che era osannato. È un albero infatti la cui parte superiore ha dei rami abbondanti e bianchi, mentre nella sua parte media e inferiore è rude e spinoso, slanciandosi sempre in alto. Così anche colui che si avvia alla conoscenza di Cristo troverà un cammino rude e difficile, ma quando arriverà all’altezza, per quanto è possibile agli uomini, troverà la luce della teologia e la rivelazione di cose ineffabili, come i rami di palma che sono bianchi. Per questo ancora la sposa del Cantico dei cantici, che è la Chiesa di coloro che hanno creduto in Cristo, dice: Salirò sulla palma, afferrerò i rami più alti».

Verso la conclusione dell’omelia Severo commenta il brano del vangelo di Matteo dell’espulsione dei trafficanti dal tempio, episodio che mette in evidenza l’unità dei due testamenti, antico e nuovo. E dà poi una lettura cristologica della citazione che i vangeli fanno del salmo «Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Con la bocca di bambini e di lattanti hai posto una difesa contro i tuoi avversari»: la lode dei bambini all’ingresso di Gesù a Gerusalemme è infatti una professione di fede in colui che essendo grande ed eccelso si è umiliato e si è fatto piccolo.

 

(© L'Osservatore Romano 29 marzo 2015)