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Un diritto

 da perdonare

 

di Lucetta Scaraffia

 Con il giubileo centrato sulla «genuina esperienza della misericordia di Dio» il Pontefice vuole soprattutto aprire la porta a coloro che ne sono esclusi. Tra questi, i carcerati, che non possono recarsi a Roma e neppure nelle chiese diocesane abilitate al perdono: addirittura, «ogni volta che passeranno per la porta della loro cella, rivolgendo il pensiero e la preghiera al Padre», per loro sarà come passare per la Porta santa scrive Francesco. E la misericordia di questo anno santo sarà aperta anche ai fedeli che frequentano le chiese officiate dalla minoranza lefebvriana, nell’auspicio che si possa recuperare la piena comunione con i loro sacerdoti e superiori.

 Ma soprattutto il Papa rivolge parole cariche di amore, e non di biasimo, alle donne che hanno abortito. Donne che, in gran parte, hanno contraddetto gli insegnamenti della Chiesa per avere scelto di considerare l’aborto — un «gravissimo male» — come il diritto sul quale costruire la loro liberazione. Ma che si sono accorte, nella loro difficile esperienza personale, che l’aborto non può essere una via di liberazione, e che è difficile, al di là delle decisioni prese in grande misura per influenza delle ideologie correnti, cancellare dentro se stesse il pesante senso di colpa che si prova per avere impedito a una creatura di venire alla luce.

 A loro, che hanno il cuore appesantito da questa ferita in apparenza irrimediabile, Francesco si rivolge, offrendo quello che solo l’amore di Dio può dare: il perdono. Nelle parole del Papa c’è molta misericordia. «Conosco bene —  assicura nella sua lettera  —  i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza».

 La grandezza della tradizione cristiana è tutta qui: perdonare senza per questo sminuire la portata morale del peccato commesso, senza per questo pensare che non si trattava di un male. Davanti a un mondo che vuole considerare l’aborto un diritto come gli altri, di fronte a movimenti ideologici che ne hanno fatto il primo passo per il cammino della libertà femminile, Francesco ribadisce la condanna di questa ingiustizia proprio nel momento in cui offre il perdono.

 Quel perdono che tante donne non possono concedere a se stesse, anche quando pensano con la ragione di non avere commesso niente di male. Perché l’aborto  —  e ogni donna lo sa  —  è un’esperienza che segna indelebilmente la vita, un peso che si porterà dentro per sempre. Solo il perdono può liberare da questo peso, non l’orgoglio per una scelta che pure è sempre vissuta come inevitabile, come vorrebbe la cultura dominante.

 Con poche e paterne parole, con la concessione a ogni sacerdote di perdonare durante il giubileo questo peccato che ormai è così diffuso da meritare un’apertura di perdono più ampia, Papa Francesco mostra il suo cuore alle donne del nostro tempo. Non chiede niente altro se non che riconoscano quello che il loro corpo e il loro cuore già hanno riconosciuto, al di là della loro volontà. E offre in cambio l’unica soluzione possibile, la sola liberazione: il perdono.

 Si tratta di un atto di amore coraggioso verso le donne, di un riconoscimento della loro vera natura, al di là delle ideologie e del politicamente corretto. Un atto che avrebbe una eco ancora più forte se, all’interno della Chiesa, alle donne venisse riconosciuto il posto che meritano.

(© L'Osservatore Romano, 2 settembre 2015)