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Come leggere l’«Evangelii gaudium»

Una sfida importante

di Víctor Manuel Fernández

 

Pubblichiamo alcuni brani dalla «Guía breve para aplicar Evangelii gaudium» (Buenos Aires, San Pablo, 2014) dell’arcivescovo rettore della Pontificia universidad católica Santa María de los Buenos Aires.

Papa Francesco ci ha posto una sfida importante. Ci ha detto che l’Evangelii gaudium non è solo un documento in più, perché ha «un significato programmatico» (n. 25). Che cosa significa? Che non è un documento da studiare e da commentare, o da prendere solamente come un’ispirazione o una motivazione. È un “programma” di lavoro per tutti noi cattolici e per tutte le nostre comunità.

Nelle nostre diocesi e nelle nostre parrocchie si nota che abbiamo preso sul serio questo programma che Francesco ci presenta? Se così fosse, si dovrebbero vedere cambiamenti importanti, dovrebbero attirare la nostra attenzione il rinnovamento, la vita e il dinamismo innovativo delle nostre comunità. In effetti il Papa ci dice che ciò che l’Evangelii gaudium propone ha conseguenze importanti.

Ma va anche oltre e, in modo molto pratico, ci dice che non possiamo accontentarci di fissare alcuni obiettivi per rinnovare le nostre comunità, ma che dobbiamo «porre in atto i mezzi necessari» perché non possiamo «lasciare le cose come stanno». Una nuova opzione missionaria deve essere «capace di trasformare ogni cosa» (n. 27).

Questa richiesta è molto chiara e insistente, ma a volte sembra che siamo come addormentati, impigliati in migliaia di cose secondarie, e trascuriamo quelle più importanti. Alcuni laici più generosi ed entusiasti sono soliti rammaricarsi perché non riusciamo a reagire dinanzi a quello che lo Spirito Santo ci sta chiedendo attraverso il Papa. Si dispiacciono perché non vedono reazioni in certi vescovi e sacerdoti, e neppure in molti laici che lavorano in parrocchie, movimenti e istituzioni cattoliche.

Il richiamo del Papa è molto profondo. È come se ci dicesse: «Svegliatevi!». «Il mondo ci sfugge, la gente si allontana, molti vivono senza l’amore e la luce di Gesù Cristo. Non continuiamo a perdere tempo in cose secondarie. Entriamo in uno stato di missione, di ricerca, di uscita, di vicinanza a tutti! Che nessuno rimanga senza ascoltare in modo diretto l’annuncio di un Dio che ama, che salva, che vive! Non rimaniamo rinchiusi, usciamo!».

Se ascoltiamo davvero questa richiesta, allora svegliamoci e reagiamo; non si tratta solo di cambiare qualcosa. Il Papa dice che occorre «trasformare ogni cosa» per evangelizzare il mondo attuale. Non ci chiede di organizzare ogni tanto qualche missione, ma di entrare in uno «stato permanente di missione» (n. 25).

Al numero 8 si arriva al punto centrale e si dice come raggiungere la gioia più bella: solo grazie all’incontro con l’amore di Dio «siamo riscattati dalla nostra coscienza isolata e dall’autoreferenzialità. Giungiamo a essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero. Lì sta la sorgente dell’azione evangelizzatrice».

L’«autoreferenzialità» è fare attenzione a se stessi, alle proprie necessità e ai propri progetti, senza pensare agli altri e alla gloria di Dio. La «coscienza isolata» è non lasciarsi toccare dall’amore di Dio, e vivere allora chiusi nella propria insoddisfazione e nelle proprie idee. Tutto questo si riassume in quella che il Papa chiama «mondanità spirituale», perché diventiamo egoisti e vanitosi, ma crediamo di essere spirituali. Bisogna però scoprire qual è la proposta positiva per rompere con questi vizi: l’uscita da se stessi. Dobbiamo cioè aprirci all’amore del Signore e permettergli di condurci al di là di noi stessi, per divenire vicini a tutti e pieni di misericordia. Applicando tutto ciò alla Chiesa, è questo il punto di partenza dell’evangelizzazione. Anche la Chiesa deve uscire da se stessa, e questa è la missione. Al numero 9 riprende un vecchio principio: «Il bene tende sempre a comunicarsi». Se uno si è veramente lasciato trasformare da Dio, il bene che ha ricevuto cerca di giungere ad altri, di comunicarsi, di condividersi. Se lo facciamo, siamo felici e ci realizziamo come persone. Se ci chiudiamo in noi stessi, perdiamo vita, gioia e felicità.

 

(© L'osservatore Romano 13/03/2015)