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La proposta di Papa Francesco sulla data della Pasqua

Uniti nella resurrezione

di Lucetta Scaraffia

 

Le parole di Papa Francesco, che ancora una volta si è detto disponibile a fissare una data comune per festeggiare la Pasqua insieme fra tutti i cristiani, hanno suscitato un immediato interesse mediatico mondiale. E un consenso generale: per il progetto di pacificazione tra le confessioni ma anche, come ha scritto Armando Torno, perché si tratterebbe di una sorta di razionalizzazione del calendario, nella direzione già da tempo indicata dal mondo laico. 

Nessuno però sembra essersi accorto che l’intervento del Pontefice sottolinea implicitamente un fatto importante: anche in paesi dove l’identità cristiana va appannandosi, la scansione del tempo è ancora quella legata alla vicenda terrena di Gesù. E sappiamo che il calendario non è solo una convenzione, ma qualcosa di profondo e simbolicamente rilevante.

Non è infatti un elemento indifferente che in gran parte del mondo si viva in un calendario intrinsecamente legato al momento dell’Incarnazione, in un tempo che è quello segnato da Cristo e che si sviluppa in modo lineare verso il suo ritorno. Come scrive Montini in un testo del 1961, la vita cristiana «è tutta tesa verso qualcosa che deve venire, che noi aspettiamo, tanto che la vita presente non è che un’attesa di quella futura».

La Pasqua e le feste a essa collegate costituiscono un aspetto diverso dell’anno liturgico perché connesse a un tempo ciclico, quello che si ripete ogni anno e che segna il ritorno delle stagioni. Le altre feste, come il Natale, sono inserite infatti nel nuovo tempo lineare, quello inaugurato dall’Incarnazione. La data della Pasqua invece è stabilita dal ritmo delle lunazioni, segnando il punto in cui il cristianesimo s’intreccia più visibilmente con la tradizione ebraica. Nel-l’ebraismo — come nell’islam — ancora oggi le date delle ricorrenze sacre sono infatti stabilite ogni anno in base al calendario lunare.

Naturalmente questa percezione si è persa, dal momento che comunque, anche all’interno della scansione lunare, ebrei e cristiani si riferiscono a calendari diversi, ma il senso della datazione mobile è proprio questo. L’ancoraggio a una datazione lunare significa infatti mettere in evidenza un legame con il tempo cosmico, collegare i riti sacri ai cicli astronomici e alle stagioni. Fin dalle origini, invece, il cristianesimo ha scandito l’anno liturgico secondo un ritmo che, sottolinea ancora Montini, «è quello della proiezione della vita temporale di Cristo sulla nostra».

Non è un caso che il Papa abbia deciso di proporre questo cambiamento proprio adesso, offrendolo come dono di unità alle altre confessioni: i cristiani nel mondo stanno vivendo un momento drammatico, le persecuzioni sono forti e continue come non mai. E sono persecuzioni che colpiscono in modo particolare le Chiese orientali, che rischiano di scomparire. Che ne sarà del cristianesimo se non ci saranno più fedeli che pregano in aramaico, la lingua di Gesù?

In un momento in cui si stanno lacerando i legami con le origini, in cui i cristiani, dove non sono perseguitati, si trovano a confrontarsi con un nemico per certi versi ancora più insidioso come l’indifferenza, il Pontefice con la sua proposta di svolta nel calendario interviene a imprimere un cambiamento per rafforzare la loro identità.

La Resurrezione, celebrata insieme da tutti i cristiani, aumenterebbe l’importanza di questa festa centrale per la fede in un momento in cui nel mondo globale i cambiamenti vengono percepiti come imposti e subiti. Perché il cambiamento che vivremo — sembra suggerire Papa Francesco — non deve essere effetto passivo dei rivolgimenti della storia, ma responsabilità di ogni cristiano, a qualsiasi confessione appartenga.

 

(© L'Osservatore Romano 17 giugno 2015)