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Falso rimedio

di Giuseppe Fiorentino

Il freddo di gennaio non ferma il flusso di profughi. Anche in queste settimane, in tanti cercano di intraprendere un viaggio che le condizioni meteorologiche rendono a volte disperato. Molte persone — e molti bambini — sono annegate nei giorni scorsi nell’Egeo. Ma stavolta nessuna onda emotiva ha accompagnato le tragedie, come invece accadde per il piccolo Aylan, divenuto involontario simbolo del dramma di un popolo in fuga. Allo stesso modo sembra essersi spenta, o quanto meno affievolita, quella forza ideale che aveva indotto alcuni Governi a promuovere una politica di accoglienza.

In realtà, al di là delle dichiarazioni e nonostante i serrati confronti in sede comunitaria, la reazione dell’Unione europea di fronte all’emergenza è stata lenta, macchinosa ed evidentemente inefficace. Solo 200 persone sono state interessate dalle iniziative di ricollocamento, mentre l’accordo — raggiunto davvero a fatica — prevedeva l’accoglienza nei vari Paesi di 160.000 profughi giunti in Grecia e in Italia. Un fallimento, dunque, a cui fa ora seguito la richiesta di sospensione del trattato di Schengen, sospensione che potrebbe prolungarsi per i prossimi due anni.

Come è noto, molte giustificazioni vengono invocate per spiegare tale scelta. Tra queste, le necessità imposte dalla minaccia del terrorismo internazionale e l’incapacità di reggere, da un punto di vista economico, l’impatto di un grande flusso di migranti. Se è ragionevole sostenere che uno Stato abbia il diritto e il dovere di tutelare la sicurezza e il benessere dei propri cittadini, altrettanto ragionevole è ritenere che, all’interno di un spazio comunitario come l’Ue, nessuno debba essere lasciato da solo ad affrontare una simile situazione. Come invece rischiano di dover fare le Nazioni di prima accoglienza, che certo non possono rifiutare di soccorrere le persone in mare.

Blocchi e muri non sono quindi una vera soluzione, a meno di non voler negare la stessa ragione d’essere dell’impianto europeo. Anche perché è difficile prevedere che nei prossimi mesi possano risolversi le crisi — come quella siriana e come quella libica — che alimentano il flusso dei profughi. Migliaia e migliaia di persone in fuga dalla guerra, che non devono essere dimenticate e sulla cui vita non si deve speculare per calcoli elettorali. Uno spazio di azione reale potrebbe invece essere rintracciato in una politica comune europea capace di contribuire alla fine dei conflitti in atto. Ma anche per intraprendere questa strada l’Unione deve immaginarsi protagonista. Abbandonando gli egoismi.

(© L'Osservatore Romano, 27 gennaio 2016)