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Globalità e accoglienza nell’«Amoris laetitia»

I frutti

del cammino sinodale

di Gualtiero Bassetti

Chi cercherà nell’Amoris laetitia una rivoluzione nel significato mondano del termine non ne troverà traccia. E allo stesso modo chi cercherà la sua negazione, cioè l’affermazione di una qualche forma di conservazione, sarà ugualmente deluso. 

Per il semplice motivo che questo è il linguaggio mediatico, ma non quello della Chiesa. Il cui unico linguaggio è l’annuncio della buona notizia da cui tutto discende: la venuta al mondo di Gesù e la sua resurrezione; l’amore e la carità; il perdono dei peccati e la misericordia; la testimonianza della fede e la centralità della famiglia. L’unica vera rivoluzione che si può scorgere tra le pagine dell’esortazione è la rivoluzione della tenerezza che rappresenta non solo una delle categorie più importanti di questo pontificato, ma anche uno dei simboli con cui guardare la famiglia attraverso questo documento.

La semplicità di queste affermazioni contrasterà, senza dubbio, con le consuete rappresentazioni mediatiche, amplificate oltremisura da un uso ossessivo dei social network, ma ribadire questi concetti non significa altro che sottolineare il cuore dell’esortazione. Tra le moltissime riflessioni che si potrebbero e che si dovranno fare, vorrei porre l’attenzione su  alcuni aspetti.

Innanzitutto, lo spirito del sinodo. L’esortazione apostolica incarna perfettamente il cammino sinodale che non è stato uno scontro tra mozioni congressuali, ma un lungo tratto di strada percorso insieme. Un cammino durato ben due anni che ha interessato ogni diocesi del mondo e ha dato vita a un dibattito vivo, vero, autentico, in cui si è parlato con franchezza. E questo non è poco. Anzi, è tantissimo.

Non solo. Lo spirito del sinodo è stato anche quello del Vaticano II. Uno degli elementi che più è stato messo in risalto dai padri sinodali è consistito, infatti, nel sottolineare il «fine unitivo» del matrimonio, ossia «l’invito a crescere nell’amore» e nell’«aiuto reciproco». Ovvero, una delle grandi novità introdotte dal concilio.

In questo orizzonte tracciato dall’evento conciliare occorre sottolineare, poi, una virtù troppo spesso «ignorata in questo tempo di relazioni frenetiche e superficiali», ovvero la tenerezza. È la tenerezza cantata dal salmista che esprime, con i tratti «dell’amore paterno e materno», l’unione tra i fedeli e il Signore, ed è anche la «tenera intimità che esiste tra la madre e il bambino». La tenerezza, in fondo, è «lo sguardo fatto di fede e amore, grazia e impegno» che possiamo contemplare nella famiglia.

Un altro elemento che occorre sottolineare è il respiro mondiale dell’Amoris laetitia. Un respiro che, di fatto, non limitandosi solo al contesto occidentale, rappresenta uno sguardo globale alle famiglie di tutto il mondo. La globalità dell’esortazione — che radicandosi in ogni territorio mette in evidenza anche la sua estrema concretezza — è ben testimoniato dalle citazioni tratte da documenti dei vescovi di tutto il mondo: dal Messico alla Colombia, dall’Italia alla Corea, dall’Australia al Kenya.

L’ultimo aspetto è quello dell’accoglienza nella Chiesa che si lega strettamente a quelli dell’accompagnamento e del discernimento. È questo un elemento cruciale che misura, e misurerà, la nostra capacità di amare e di aiutare le famiglie. L’accoglienza, infatti, deve essere rivolta verso tutti: alle famiglie in migrazione, a quelle che vivono in condizioni di povertà estreme e a quelle che hanno conosciuto la ferita del fallimento matrimoniale. Un’integrazione pastorale necessaria, ma che è impensabile senza la medicina della misericordia e il discernimento del pastore. Si tratta, indubbiamente, di una grande testimonianza di carità, di vicinanza fraterna e di prossimità autentica nei confronti di tutto il popolo di Dio. Senza escludere nessuno.

 

(© L'Osservatore Romano 10 aprile 2016)