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Il dibattito sul cristianesimo nel mondo musulmano

Tre storie e una domanda

di Zouhir Louassini

 

Tre storie recenti tratte dai media in lingua araba. Con una domanda che non ha bisogno di commenti.

La prima storia è un’intervista trasmessa dalla tv satellitare egiziana il 7 ottobre scorso. Un giornalista chiede ad Ahmad Muhammad al-Tayyib, lo sceicco della famosa università islamica al-Azhar, cosa pensa del cristianesimo.

La  risposta di al-Tayyib — ovviamente in lingua araba e quindi destinata a una platea vastissima e in stragrande maggioranza di fede islamica — è stata questa: «Il cristianesimo è una religione di amore e di pace. È una religione che aiuta a diffondere la pace. Invita addirittura ad amare i propri nemici».

La seconda storia è quella di Wallat Mustafa, il primo rifugiato siriano convertitosi al cristianesimo. La vicenda rimbalza su internet. I social media mostrano il video del suo battesimo, un documento  che fa furore tra i musulmani. Questi reagiscono con i commenti più diversi: molti lo criticano, altri lo insultano, ma moltissimi insistono sulla sua libertà di scelta. Qualcuno si chiede addirittura se la conversione non sia colpa dell’islam fanatico che si è impossessato di questa grande religione, spingendo molti musulmani a rinnegarla.

La terza storia viene dal Marocco. Il giornale online Hespress — più di un milione di visite al giorno — ha avviato il 24 ottobre un dibattito sul fenomeno della conversione di molti marocchini al cristianesimo. Dopo una campagna intitolata «Marocchino e cristiano», diffusa su Facebook e YouTube, alcuni attivisti e difensori della libertà di religione sono riusciti ad accendere l’attenzione dell’opinione pubblica su questo nuovo tema. Si ragiona insomma sul diritto di convertirsi ad altre religioni.

Certo, non si tratta di un dialogo socratico: i toni non sono sempre calmi e distesi. Tuttavia emerge, chiara, la volontà di dialogare, sia nei testi giornalistici sia tra i lettori che li commentano. È un dibattito promettente ancora ai suoi primi passi. Se è vero che «ogni albero si riconosce dal suo frutto», allora bisogna aspettare per giudicare.

Le tre storie si possono trovare in rete cercando masihhiyya (“cristianesimo”) con un motore di ricerca.

E ora  la domanda: perché questo dibattito aspro ma aperto non interessa i media occidentali?

 

 

(© L'Osservatore Romano 30 ottobre 2016)