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Autorizzati in Gran Bretagna  l’uso e la distruzione di embrioni umani

Un esperimento rischioso

 

di Laura Palazzani
Vicepresidente del Comitato nazionale italiano  per la bioetica

In Gran Bretagna la Human Fertilisation and Embryology Authority ha autorizzato i ricercatori del Francis Crick Institute a utilizzare la tecnica gene-editing su embrioni umani congelati.  È la tecnica detta del “taglia e cuci” applicato a embrioni umani, che consentirebbe, con maggiore efficienza e precisione rispetto a tecnologie precedenti, di intervenire sul genoma, eliminando o disattivando geni “difettosi”. In Cina la tecnica è stata sperimentata un anno fa per la prima volta, per prevenire la talassemia. In Gran Bretagna i ricercatori si propongono di studiare quali sono i geni che ostacolano o impediscono lo sviluppo embrionale, per “correggerli”.

Non si può sottovalutare l’interesse scientifico di questa ricerca: aumentare le conoscenze embriologiche dei primi giorni di vita, studiare le cause genetiche dell’infertilità e di aborti spontanei, tuttora sconosciute. Il problema etico riguarda i mezzi: l’uso e la distruzione di embrioni umani. Si riapre infatti la domanda che la bioetica si sta ponendo già da decenni: gli embrioni sono mucchi di cellule o soggetti umani sin dall’inizio della loro esistenza? La ricerca scientifica, il possibile (nemmeno certo) aumento delle conoscenze giustifica la distruzione di esseri umani, seppur all’inizio — ancora impercettibile a occhio nudo — del loro percorso di sviluppo? Un percorso che li porterebbe a nascere, se non fossero usati per la sperimentazione e fossero loro garantite le condizioni indispensabili per l’esistenza.

Un paradosso: per prevenire aborti spontanei e infertilità, dunque per aumentare le chance di sviluppo degli embrioni e per far nascere più bambini nel futuro, si distruggono embrioni oggi.

Certo, gli embrioni utilizzati sono quelli congelati, avanzati dall’uso delle tecnologie riproduttive. Embrioni che avrebbero comunque un futuro incerto, soprattutto in Gran Bretagna, dove vengono periodicamente eliminati perché considerati un costo sociale. Ma, anche se “residui”, sono sempre embrioni umani: il loro statuto ontologico non cambia.

Gli sperimentatori britannici cercano legittimazione dicendo che si tratta di una ricerca di base, la quale nulla avrebbe  a che vedere con la selezione eugenetica di embrioni umani e la produzione di bambini “su misura”. Ma la connessione c’è: una volta scoperta la modalità per identificare i geni responsabili di aborti spontanei e della infertilità, tale identificazione potrebbe essere usata per “scartare” embrioni malati nell’ambito della procreazione assistita e impiantare solo gli embrioni sani. Oppure si potrebbe usare per prevenire la malattia, mediante sostituzione di geni “difettosi”: ma si tratta di un’ipotesi molto futuribile, e poco praticabile. Gli stessi scienziati sono consapevoli che interventi correttivi di questo genere possono provocare mutazioni inaspettate in un’altra parte del genoma, mutazioni anche trasmissibili geneticamente ai discendenti e si impegnano a non trasferire gli embrioni in utero. Ma questo non è eticamente sufficiente per legittimare l’esperimento: prima di tutelare le generazioni future, si devono tutelare le generazioni presenti.

E che fine ha fatto la moratoria sottoscritta da molti scienziati dopo l’esperimento cinese, con appelli anche su riviste scientifiche come «Science» e «Nature»? Si chiedeva la sospensione momentanea di una tecnologia che suscitava forti preoccupazioni nella comunità scientifica. Preoccupazioni che però non hanno impedito, in questo caso, l’autorizzazione di un esperimento insicuro, incerto, rischioso. Un esperimento, oltretutto, i cui risultati non consentirebbero comunque di prevenire radicalmente i “difetti genetici”, perché molte malattie sono causate da cambiamenti epigenetici.

L’argomento sta suscitando un dibattito internazionale globale: è indispensabile, oggi, a fronte della forte pressione proveniente dal mondo scientifico e industriale verso l’avanzamento delle conoscenze, richiamare la necessità di un tempo per la riflessione etica. Una riflessione equilibrata che sappia identificare i percorsi di prudenza e saggezza per conciliare le esigenze della ricerca e dell’avanzamento della conoscenza con il primato, riconosciuto in molti documenti internazionali, dell’essere umano, non riducibile a oggetto.

(© L'Osservatore Romano 3 febbraio 2016)