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I luoghi della nuova evangelizzazione

 

di Lucetta Scaraffia

Oggi, nelle aree secolarizzate del mondo, in paesi come l’Italia nei quali il numero dei matrimoni religiosi è in calo costante, così come quello dei battesimi, l’unico momento in cui le persone non credenti o indifferenti partecipano a una cerimonia religiosa è in occasione di un funerale. Anche per persone che non frequentavano più la chiesa da decenni, è infatti difficile rinunciare al funerale cristiano, data l’assenza di qualsiasi altra forma cultuale alternativa. Affrontare la morte non è facile per nessuno, e tutti hanno bisogno di un rito.

Capita così sempre più spesso di trovarsi ad assistere a cerimonie religiose in cui il sacerdote officiante non conosce il defunto, né i suoi familiari, e i partecipanti sono per la quasi totalità non credenti, o almeno non praticanti. Certo per il sacerdote è difficile, in questi casi, fare un’omelia dignitosa, riuscire a trovare parole di consolazione ma al tempo stesso di riflessione profonda, quali la circostanza richiede. L’abitudine che si è diffusa, poi, di parlare del defunto familiarmente usando il nome proprio, come se si avesse intessuto con lui un legame di vicinanza e di amicizia, anche quando è chiaro che non esisteva nessun legame, rende ogni discorso poco sincero agli occhi degli astanti.

Non è facile questa situazione, lo ripetiamo, però sarebbe anche un’occasione eccezionalmente favorevole per far conoscere le parole di Gesù, per far capire il suo modo di affrontare e di vincere la morte. Per farlo, però, bisogna avere il coraggio di pronunciare la parola morte, di dire la verità sul senso di angoscia e di sgomento che prende tutti davanti a una bara che non solo rappresenta la fine di un legame umano, magari profondo e vitale, ma anche ci obbliga a confrontarci con la nostra stessa morte.

E oggi questo coraggio sembrano non possederlo più neppure non pochi uomini di chiesa, che perfino davanti a un feretro parlano spesso soltanto di amore, di gioia, di continuità. Ma di morte, di abbandono, di solitudine, mai. E quindi non toccano il cuore dei presenti, che si vedono così confermati nella loro scelta di tenersi fuori dalla sfera religiosa, e che cercano quindi solo di fuggire più velocemente possibile per dimenticare che anche loro devono morire.

Bisogna comprendere la realtà in cui viviamo, e riconoscere che i luoghi della nuova evangelizzazione, oggi, sono spesso proprio i funerali. E bisogna quindi preparare i sacerdoti, e ora anche i laici, come avviene in alcune regioni d’Europa, a riconoscerli e ad affrontarli con gli strumenti spirituali e pastorali adeguati.

(©L'osservatore Romano, 16 dicembre 2017)