Index   Back Top Print


logo

Dopo l’attentato di Barcellona

La forza del passeggiare

di Manuel Nin

 

Da piccoli, quando dal mio paese natale si andava in famiglia a Barcellona per sbrigare delle faccende familiari - mediche, scolastiche, commerciali - quasi sempre si viaggiava in treno, e quella visita alla capitale prevedeva sempre, prima di riprendere il treno, una mezz’oretta di passeggiata a Les Rambles, dove potevamo vedere tante bancarelle con animali più o meno esotici, piante, soprattutto cactus di una bellezza unica. La vittoria era sempre di riuscire a strappare alla generosità dei genitori, o dei nonni, l’acquisto di qualche animaletto, un uccellino o un pesciolino, oppure un cactus, il più spinoso possibile, da portare a casa. Mai avremo immaginato che quel luogo di svago, di tranquillità, di vita familiare potesse diventare un giorno luogo di terrore e di morte.

Ogni attentato, ogni forma di terrorismo genera in noi - e non dico suscita ma genera, perché è qualcosa che sorge, nasce dal di dentro - ribrezzo, tristezza, paura. E queste due ultime sono forse la vera vittoria del terrorismo e dei terroristi in noi: tristezza e soprattutto paura. La paura che possano ancora colpire, che ci possano colpire, da ogni angolo e nei luoghi più vari, anche di svago e di tranquillità. La vittoria del terrorismo è farci cambiare non solo le abitudini ma quel che siamo.

Vedere Roma, Parigi, Barcellona, Londra e tante altre città europee presidiate dalle forze dell’ordine non mi rende tranquillo, riconoscendo e ringraziando lo sforzo e il lavoro rischioso di questi militari. Oltre Les Rambles, conosco la Promenade des Anglais a Nizza: luoghi dove donne e uomini, bambini e anziani vanno per passeggiare, chiacchierare in tranquillità, guardare silenziosamente - passeggiare in silenzio è bello - oppure stare in compagnia. Noi uomini siamo in fondo peripatetici, cioè passeggiamo: da soli per pensare e magari per decidere; con gli amici e le persone che amiamo per confrontare, per valutare, magari per discutere. Ed è lì che il terrorismo colpisce, quasi volesse uccidere sì l’uomo, ma soprattutto il suo pensare, decidere, dialogare liberi e responsabili; uccidere per evitare che l’uomo peripatetico pensi, decida, e lo faccia liberamente, si confronti, condivida, dialoghi, ami.

Il contrario del passeggiare è essere fermo, immobile, chiuso in se stesso; il contrario del pensare, del riflettere è non avere un proprio pensiero, non decidere, lasciare che un altro nel male lo faccia per te. Il contrario del condividere, del dialogare, del confrontarsi è proprio la chiusura nel proprio isolamento, nel proprio terrore. Un terrore che cova nel cuore dell’uomo e che una volta accumulato - non dico maturo perché maturo non lo è mai - esplode, esce fuori con la furia e la freddezza di un vulcano, e falcia vite umane che pensano, che amano, e non si tratta del falciare che è sinonimo di raccolta abbondante, bensì di un falciare che è dispersione e morte.

 

Le immagini delle Rambles falciate a zig zag per assicurarsi che nessuno scappasse o che nessuno facesse barriera per proteggere se stessi e gli altri. Queste immagini, come quelle di altre città europee prima di Barcellona, mi hanno colpito non soltanto perché è una città a me molto cara, ma soprattutto perché di nuovo si è voluto colpire nelle persone quel nostro dialogare, pensare, riflettere, condividere. Nostro perché l’abbiamo imparato da colui che con i suoi discepoli camminava insieme salendo a Gerusalemme, da lui, il Signore Gesù Cristo, che passeggiava nel Tempio, che si sedeva a insegnare; che da solo si raccoglieva di notte a pregare, da solo ma mai isolato, in comunione con il Padre suo e Padre nostro. E il suo Vangelo di comunione, di vita e mai di morte e di terrore, è quello che ha messo la sua impronta indelebile su queste città europee colpite dal terrore e non dall’amore, dalla dispersione e non dalla comunione, dalla morte e non dalla vita. Città che dovrebbero essere paladine del dialogo e dell’accoglienza.

I volti delle vittime, apparsi sui giornali, mi si ripropongono in questi giorni. Anche le migliaia di donne e uomini nella Plaça de Catalunya all’indomani dell’attentato che hanno gridato no tenim por (“non abbiamo paura”) hanno dato una risposta coraggiosa e chiara. Ma a cosa, a chi? Diciamolo: a qualcuno, a una realtà che non sa e non vuole né dialogare, né ascoltare, bensì soltanto falciare vite umane innocenti. Forse dovremo dare ragione a chi dice che ormai siamo di fronte a un male incurabile che nessuna terapia riesce a sradicare? Noi cristiani condividiamo quel no tenim por che nasce dalla nostra fede cristiana, la nostra fede in colui che morendo in croce ha vinto il peccato e la morte. In questi giorni Les Rambles piene di fiori, candele, immagini e messaggini diventano luogo di pellegrinaggio, icona della sofferenza ma anche della speranza, luogo di preghiera e di memoria nella fede. No tenim por.

(© L'Osservatore Romano, 23 agosto 2017)