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​Una scelta civile

 

di Alessandra Smerilli

Cosa ha a che fare la tratta di esseri umani con la maglietta che indosso o con il mio conto in banca? Sembrerebbe poco o nulla, ma in realtà, i collegamenti esistono e molte volte ne siamo ignari. «Tutto è connesso»: è il messaggio fondamentale della Laudato si’, l’enciclica in cui Papa Francesco non si stanca di sottolineare come non si possono guardare i diversi problemi che affliggono l’umanità e il pianeta in maniera isolata, ma vanno guardati insieme e nelle loro connessioni.

Il traffico di esseri umani è in crescita e interessa buona parte del mondo: secondo i dati dell’Onu almeno 150 sono i paesi di origine e 124 quelli di destinazione. È un fenomeno difficile da misurare e ancor più difficile da contrastare, proprio perché sommerso. Esso viene definito dall’Onu come: «il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’accoglienza e l’ospitalità di persone, dietro minaccia di ricorso o ricorso alla forza o ad altre forme di costrizione, o tramite rapimento, frode, inganno, abuso di potere o di una posizione di vulnerabilità, o dietro pagamento o riscossione di somme di denaro o di altri vantaggi per ottenere il consenso di una persona esercitando su di essa la propria autorità, a scopo di sfruttamento».

Le persone vengono ridotte in forme di schiavitù principalmente a scopo di sfruttamento sessuale, lavorativo, per accattonaggio e per il traffico di organi. Le vittime sono per lo più donne e bambine, ma a causa dell’aumento negli ultimi anni di sfruttamento a fini lavorativi, sta aumentando anche la componente di uomini e bambini sul totale.

Numerose sono state e sono le reazioni di governi e organismi internazionali, ma anche di religiose e religiosi che, essendo presenti in tutto il mondo, possono comprendere meglio di altri le vie e le forme della tratta, e riescono ad agire nei luoghi di origine e di partenza, stando accanto alle vittime e nello stesso tempo denunciando lo sfruttamento.

Le unioni internazionali delle superiore e dei superiori generali (Uisg e Usg), attraverso il progetto Talitha kum sono molto attivi su questi fronti. Ci domandiamo se ciascuno di noi debba essere spettatore di questo problema che sembra sovrastarci, o se possiamo fare qualcosa, ovvero, c’è modo di contrastare il fenomeno anche dalla parte della domanda di beni e servizi?

Se delimitiamo la nostra attenzione allo sfruttamento a fini lavorativi, i settori più interessati sono l’agricoltura, le costruzioni, il tessile, la ristorazione e la pesca, oltre alla produzione di componenti per l’elettronica. Lo sfruttamento esiste anche perché c’è una domanda di prodotti a basso costo, oppure, indipendentemente dal prezzo del prodotto finale, perché c’è poca attenzione alla filiera produttiva.

La prima domanda da porsi allora è: quando vado a comprare dei beni, quanto conosco della ditta che li produce e della sua catena di fornitura? Oggi esistono tanti siti di informazione sulle ditte e con un po’ di impegno personale si può acquistare più consapevolmente.

È vero, a volte scegliere prodotti sani e di aziende che non sfruttano lavoratori, significa avere un prezzo finale più alto. Ma dietro alla differenza di prezzo possono nascondersi vittime innocenti, e uno spostamento di consumi verso aziende “sane” potrebbe anche portare a una diminuzione di quei prezzi.

Infine, oggi c’è un gran movimento di quella che viene denominata finanza responsabile o di impatto: gestori che, dopo un’accurata valutazione finanziaria di imprese e Stati, ne compiono anche una che riguarda i comportamenti verso l’ambiente, la società e i lavoratori (la cosiddetta analisi Esg), e scelgono di investire solo in titoli di aziende e Stati che rispettano criteri minimi di sostenibilità ambientale e si impegnano nel rispetto dei lavoratori. La bella notizia è che investimenti in questi fondi hanno anche dei buoni rendimenti.

Quanto siamo a conoscenza, e quanto ci informiamo di come viene gestito e chi va a finanziare il denaro che depositiamo in banca o che decidiamo di investire? Forse, senza saperlo, con i nostri soldi, stiamo favorendo il traffico di esseri umani. In questi casi la mancanza di consapevolezza può diventare complicità.

(©L'Osservatore Romano, 15 dicembre 2018)