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Dopo l’elezione di Jair Bolsonaro

Il Brasile e la ricerca dell’equilibrio

di Giuseppe Fiorentino

Nove secondi al giorno. Questo lo spazio televisivo che Jair Bolsonaro, presidente eletto del Brasile, ha in media utilizzato in questi ultimi mesi di campagna elettorale. Non era mai successo prima d’ora che un candidato a guidare una delle democrazie più grandi del mondo scartasse i mezzi tradizionali di comunicazione. Complice anche l’attentato subito nel mese di settembre, Bolsonaro è praticamente scomparso dagli schermi televisivi. Secondo alcuni avversari questo sarebbe stato addirittura un vantaggio, perché avrebbe consentito all’esponente della destra di sottrarsi ai pubblici confronti sui contenuti delle rispettive proposte politiche.

In effetti di confronti sui contenuti nella campagna elettorale brasiliana ce ne sono stati ben pochi. Fedeli alle regole non scritte dell’epoca digitale, i candidati hanno scelto di diffondere i loro messaggi attraverso le reti social. E anche in questa particolare competizione Bolsonaro ha largamente vinto sui concorrenti, mettendo in campo una strategia comunicativa incalzante e capillare. Una strategia a costo zero che non si è fondata su Facebook o su quel Twitter tanto caro a Donald Trump, ma su WhatsApp che in Brasile conta 120 milioni di utenti. Decine di migliaia di gruppi sono nati negli ultimi mesi per sostenere Bolsonaro. E se a volte, come accade in questi casi, sono state diffuse informazioni parziali o notizie infondate, il risultato finale è stato quello di una singolare campagna porta a porta che evidentemente ha raggiunto il proprio obiettivo.

Ma se quella del nuovo presidente brasiliano potrebbe passare alla storia come la prima vittoria ottenuta grazie a una piattaforma di messaggistica per telefoni cellulari, non si deve cadere nell’errore di trarre conclusioni affrettate sull’elettorato di Bolsonaro. Perché l’analisi del voto mostra come per il candidato di destra si sia espresso il 60 per cento dei brasiliani di età compresa tra i 25 e i 44 anni e il 66 per cento di quelli con un titolo di istruzione superiore o universitario.

In effetti, l’ascesa dell’ex capitano dei paracadutisti è la spia della volontà di cambiamento che attraversa la società brasiliana, segna©ta da una corruzione endemica, che ha inficiato le possibilità di sviluppo economico, e da una violenza che, con i suoi 63.000 omicidi all’anno, non conosce pari in nessun altro paese del mondo. Resta da vedere se la ricetta proposta da Bolsonaro, spesso attraverso un linguaggio davvero politicamente scorretto, riuscirà davvero a risolvere i problemi dei brasiliani.

Per il momento a festeggiare, oltre ai suoi elettori, è stata soprattutto la finanza che, insieme al latifondo e a buona parte delle comunità evangeliche locali, sostengono il nuovo presidente. Dopo l’elezione l’indice Ibovespa della borsa di San Paolo ha infatti toccato un nuovo record e i fondi di investimento contenenti titoli brasiliani hanno ottenuto importanti guadagni.

Evidentemente il mondo della finanza si attende grandi cose da Bolsonaro, che in verità ha parlato molto di libera circolazione delle armi e di pugno duro contro la criminalità, ma molto poco di economia, affidandosi in questo campo a Paulo Guedes, un ultraliberista formatosi alla scuola di Chicago. Guedes propugna un massiccio programma di privatizzazioni, che in teoria potrebbe coinvolgere anche la compagnia petrolifera statale Petrobras, le riforme del sistema previdenziale e del mercato del lavoro. In poche parole, un sistema dove lo stato abbia sempre meno rilevanza.

Ma non è detto che un simile modello, tutto di stampo statunitense, sia destinato ad avere successo in Brasile. Anzi potrebbe essere decisamente impopolare. Forse per questo Bolsonaro, che secondo alcuni ha in parte sconfessato Guedes, ha deciso di mantenere la Bolsa familia, il programma avviato dai governi del Partito dei lavoratori che ha sostenuto oltre 11 milioni di famiglie indigenti (44 milioni di persone). Perché lottare contro la corruzione e cercare di liberare un intero paese dalla paura e dall’insicurezza è legittimo e doveroso. Ma altrettanto doverosa è la ricerca di quell’equilibrio che permetta al paese un adeguato sviluppo economico senza rinunciare a programmi che possano sottrarre i più poveri dalla loro condizione.

(L'Osservatore Romano, 31 ottobre 2018)