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Le elezioni di medio termine negli Stati Uniti

Trump e il trono di spade

di Giuseppe Fiorentino

«Game of Thrones» è il titolo di una fortunata serie televisiva prodotta dalla Hbo. Ambientata in un tempo e in uno spazio immaginari, la serie, trasmessa in italiano come «Il trono di spade», descrive con toni decisamente shakespeariani la miope lotta per il potere di un’umanità incapace di unirsi per fronteggiare una minaccia comune che mette a repentaglio la sua stessa sopravvivenza. Un’umanità sospesa tra una lunga estate ormai al tramonto e un eterno inverno sempre più incombente: Winter is coming è infatti una delle frasi più citate di «Game of Thrones». E anche una delle più copiate se è vero che lo scorso 2 novembre il presidente statunitense Donald Trump, per comunicare la reintroduzione delle sanzioni contro l’Iran, ha twittato la sua immagine accompagnata dall’annuncio: Sanctions are coming, november 5.

L’adozione delle misure che hanno sancito l’uscita unilaterale di Washington dal trattato internazionale sul nucleare iraniano sono state quindi presentate da Trump come se si trattasse dell’uscita di un film, usando cioè strumenti comunicativi molto popolari, ma anche parecchio aggressivi. Ma in fondo questo è stato il tono dell’intera campagna elettorale per il voto di medio termine che martedì 6 novembre rinnoverà l’intera camera dei rappresentanti e un terzo del senato statunitensi oltre a eleggere trentasei governatori.

Gli osservatori sono infatti concordi nel ritenere che l’annuncio delle sanzioni all’Iran e altre iniziative intraprese dal presidente in queste settimane vadano lette come un tentativo di ricompattare l’elettorato che due anni fa ha garantito l’inaspettata ascesa del tycoon alla Casa Bianca. Evidentemente i successi raggiunti dall’amministrazione in campo economico, con un tasso di disoccupazione bassissimo, intorno al 3,7 per cento, non vengono ritenuti sufficienti per assicurare la vittoria dei repubblicani, che potrebbero perdere almeno la camera bassa, riducendo così il presidente a una lame duck (“anatra zoppa”) per i prossimi due anni.

Il rischio che Trump veda fortemente limitato il suo campo d’azione nel biennio che precede il voto per la Casa Bianca, spiega l’attivismo del presidente in queste ultime settimane di campagna elettorale e spiega anche i suoi toni particolarmente accesi. Per chiamare a raccolta l’elettorato repubblicano Trump ha quindi usato l’arma della politica estera, indicando agli Stati Uniti le minacce che giungerebbero da oltre confine, siano queste costituite dai migranti provenienti dall’America centrale o dall’accordo internazionale faticosamente raggiunto con l’Iran. E anche la decisione di uscire dal trattato sui missili a corto e a medio raggio è stata letta da molti in chiave elettorale, come il tentativo di smarcarsi da Putin dopo le grane giudiziarie per la presunta ingerenza russa nelle elezioni presidenziali del 2016.

A giudicare dalle ultime rilevazioni la strategia messa in campo da Trump sta in effetti dando i suoi frutti. Secondo l’ultimo sondaggio del «Washington Post» e di Abc News, i democratici, pur mantenendo un certo vantaggio nella corsa alla camera dei rappresentanti, hanno perso parecchio terreno. Attualmente sarebbero avanti di 7 punti, 50 per cento contro 43. La percentuale è più bassa rispetto all’11 per cento registrato a ottobre e si è addirittura dimezzata rispetto al 14 per cento di agosto. Nancy Pelosi, la leader democratica alla camera dei rappresentanti, si è comunque detta certa della vittoria, anche se il «Washington Post» ha avvertito che i risultati di un sondaggio a livello nazionale non possono essere automaticamente applicati sulle competizioni nei singoli collegi, tantomeno in quelli più incerti, una sessantina, dal cui risultato dipenderà l’esito complessivo del voto. Non va inoltre sottovalutato il carisma personale di Trump, che, come è noto, due anni fa smentì ogni previsione nella corsa alla Casa Bianca.

Consapevole della propria influenza, domenica 4 novembre il presidente ha fatto sosta in Georgia per sostenere il candidato repubblicano alla carica di governatore, Brian Kemp, che si scontra con la democratica Stacey Abrams, definita da Trump come «uno dei politici più di estrema sinistra». Il confronto acceso tra Kemp e Abrams — che in caso di vittoria sarebbe la prima donna nera a ricoprire la carica di governatore nella storia degli Stati Uniti — è il segno dei profondi contrasti che in questo momento attraversano il paese. Un paese la cui speranza è comunque che l’inverno della divisione sia ancora lontano.

(©L'Osservatore Romano, 5-6/ novembre 2018)