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La fede e gli apostoli


 

Per la festa dei santi patroni di Roma Benedetto XVI ha rivolto a tutti i cattolici parole che meritano ascolto anche oltre i confini visibili della Chiesa e che resteranno, meditando su ciò che è essenziale:  la verità. Quella verità che Pietro e Paolo hanno predicato sino a versare il loro sangue sotto Nerone, rendendo a Cristo l'estrema testimonianza (in greco, martýrion) nella capitale dell'impero. Il martirio dei due apostoli ha fondato la Chiesa romana, come nei secoli hanno riconosciuto milioni di fedeli inginocchiati davanti alle loro tombe indicate già diciotto secoli fa dalla pietà cristiana, che è radicata visibilmente nella storia. Come hanno affermato Pio XII e Paolo VI per san Pietro e ora il loro successore per san Paolo.
Parlando del convertito sulla via di Damasco il Papa ha ricordato come con Cristo sia iniziato un nuovo modo di adorare Dio, un culto personale e profondamente vero perché si realizza con la vita. Con quel rinnovarsi interiormente che è l'unica via per cambiare il mondo senza conformarsi a esso. Per un nuovo modo di pensare e di essere, non da bambini ma da adulti. Certo, non nel senso, bambinesco appunto, con cui si è giunti a stravolgere l'espressione "fede adulta", vedendo in essa un atteggiamento maturo e coraggioso, eventualmente anche contro il magistero della Chiesa. Con amara ironia Benedetto XVI ha ricordato come in questo modo non si dimostri molto coraggio, nelle attuali società scristianizzate.
Adulta è invece la fede che, nella verità, sa impegnarsi - ha esemplificato il Papa - per l'inviolabilità della vita umana fin dal primo momento e per l'ordinamento, che è naturale e cristiano, del matrimonio indissolubile. Opponendosi in nome della verità, che non può essere separata dalla carità, alla menzogna. E l'impegno per la verità che guarda a Cristo è profondo:  "Noi abbiamo bisogno di una ragione illuminata dal cuore, per imparare ad agire secondo la verità nella carità", ha sintetizzato Benedetto XVI.
Sin dagli studi e dalle opere giovanili Joseph Ratzinger, imbevuto della tradizione cristiana, si è prefisso il compito di spiegare "l'alfabeto della fede" nel nostro tempo, e questo servizio, che è teologico e pastorale insieme, continua a svolgere come successore di Pietro. E attraverso il primo degli apostoli ha guardato ancora una volta a Cristo "vescovo delle anime" nella solenne liturgia della consegna del pallio, che esprime anche visibilmente la comunione cattolica. Per scendere nel profondo della verità testimoniata dagli apostoli e ripetere che - nonostante i conformismi del mondo e nonostante i nemici, ancora una volta chiamati evangelicamente "lupi" - sull'esempio di Pietro e di Paolo e di santi come Francesco, il curato d'Ars e padre Pio, i vescovi e i sacerdoti hanno soprattutto il compito di aprire i cuori e le anime a Dio. Perché soltanto così è possibile rendere presente Dio nel mondo e rinnovarlo.

g.m.v.

 (© L'osservatore Romano  30-06 - 01/07/2009)