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Il primato di Dio


 

L'invocazione allo Spirito Santo ha introdotto i lavori della seconda assemblea speciale per l'Africa del Sinodo dei vescovi, aperta a San Pietro da una celebrazione eucaristica dove i canti latini si sono mescolati a quelli del continente africano. In entrambe le occasioni Benedetto XVI ha voluto parlare del primato di Dio, commentando le letture bibliche della messa e riflettendo sull'inno Nunc sancte nobis Spiritus, che la tradizione  attribuisce  a  sant'Ambrogio.
Il Papa è andato direttamente alla radice di quanto è essenziale:  sottolineando l'assoluta importanza del disegno divino espressa nella creazione dell'uomo - "a immagine di Dio lo creò:  maschio e femmina li creò" - e ricordando come la venuta dello Spirito, sceso sugli apostoli a Pentecoste, non sia un avvenimento del passato, ma debba essere invocata, come indicano le parole della tradizione liturgica, "ora" (nunc).
Oggi, però, il riconoscimento della signoria di Dio che contraddistingue le culture africane, è messo a rischio - ha denunciato senza mezzi termini Benedetto XVI - da un colonialismo che non si rassegna a morire ed esporta in Africa due pericolose tendenze:  da un lato, il materialismo pratico che grava sulle società occidentali e, dall'altro, il fondamentalismo religioso, che usa il nome divino per  nascondere  intolleranza  e  violenza.
E come il primato di Dio è contenuto nel disegno originario del matrimonio secondo la parola di Cristo, così esso viene riconosciuto ogni volta che si invoca lo Spirito - ogni giorno, nella preghiera del mattino con le parole dell'inno ambrosiano - perché ricrei la Chiesa e il mondo. A indicare in modo trasparente che la Chiesa non è un prodotto dell'organizzazione umana, ma piuttosto frutto della collaborazione degli uomini con il disegno divino.
Il Papa ha meditato scendendo nel profondo, e spiegando - in perfetta continuità con la tradizione cristiana sin dai primi secoli, davvero come un Padre della Chiesa - come la discesa dello Spirito venga implorata per ogni fibra dell'essere umano. In modo che ognuno possa comprendere le proprie insufficienze, ma anche i mali del mondo, alla luce di Dio. Un Dio che non è lontano, ma al contrario abita nel nostro cuore, come Benedetto XVI ripete instancabilmente. Ricordando sempre che il riconoscimento del primato di Dio comporta l'urgenza di comunicarlo al mondo e, insieme, la necessità di vivere la carità, nello stesso tempo universale e concreta, nei confronti del prossimo, secondo la parabola evangelica del buon samaritano.
Ancora una volta, dunque, il Papa ha stupito tornando all'essenziale, cioè parlando di Dio a proposito di un continente dimenticato nell'informazione internazionale, forse proprio perché sfruttato, o evocato soltanto per i problemi economici e sociali. E ci si può chiedere quanto di questa predicazione chiara e mite di Benedetto XVI - il cui viaggio in Africa è stato quest'anno stravolto da una polemica pregiudiziale e infondata a proposito della lotta contro l'Aids - troverà spazio nei media, che nei suoi confronti sono spesso responsabili di una rappresentazione riduttiva o addirittura ostile, come ha sottolineato di fronte ai rappresentanti degli episcopati europei il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana.
Nonostante tutto, però, il Papa e la Chiesa sanno bene di non essere un gruppo fra i tanti, chiuso e rivolto al proprio interesse. Al contrario hanno consapevolezza di essere chiamati all'universalità della carità. Per fare spazio al primato di quel Dio che vuole - secondo l'espressione cara ai Padri greci - la divinizzazione dell'uomo.

g.m.v.

 (© L'Osservatore Romano 06/10/2009)