Index   Back Top Print


logo

 

Cinquant'anni dopo la settimana nera

Mezzo secolo fa, il 21 novembre 1964, si chiudeva il terzo periodo del Vaticano II. Quel giorno vennero approvati, a larghissima maggioranza, tre documenti: la costituzione dogmatica Lumen gentium sulla Chiesa, il decreto sulle Chiese orientali cattoliche e quello sull'ecumenismo. Il risultato fu subito avvertito come molto positivo, ma arrivò al termine di una settimana che, per il susseguirsi di colpi di scena vissuti drammaticamente da non pochi padri conciliari e così rilanciati dai media di mezzo mondo, venne subito denominata "nera".
A rileggere le cronache di allora si capisce facilmente perché un vescovo olandese, per primo, parlò di "settimana nera". La posta in gioco era altissima, perché toccava punti decisivi di quel rinnovamento, indispensabile e urgente, posto davanti al Vaticano II. Il cristianesimo - ha scritto nel 2012 Benedetto XVI, che al concilio partecipò come esperto - sembrava infatti "perdere sempre più la sua forza efficace", appariva "stanco" e proprio perché "potesse tornare a essere una forza che modella il domani, Giovanni XXIII aveva convocato il concilio". E proprio questa fu "la grandezza e al tempo stesso la difficoltà del compito" della più numerosa assemblea di vescovi mai convocata.
Oggi nessuno mette in dubbio che quell'"aggiornamento" c'è stato e sono pochi a negarne i frutti, in questi decenni dimostratisi largamente positivi, e non solo per la Chiesa cattolica. Sin dall'inizio fu chiaro che nell'assemblea vi era un'ampia maggioranza riformatrice, fronteggiata da un'agguerrita minoranza che vedeva con preoccupazione e timore ogni rinnovamento. Eletto in conclave dopo la morte di Roncalli come continuatore della sua intuizione, Paolo VI dimostrò subito di saper guidare il concilio, tra gesti simbolici di cui aveva il dono e mediazioni pazienti finalizzate a ottenere il maggior consenso possibile a sostegno della linea di rinnovamento che prevaleva tra i padri conciliari.
Qualche giorno prima della "settimana nera" vi fu un gesto che solo più tardi si è compreso: il 13 novembre 1964, al termine di una celebrazione in rito bizantino il Pontefice depose sull'altare di San Pietro la sua tiara, offerta per i poveri, mai più usata da Montini e abbandonata dai successori. Poi da lunedì 16 a sabato 21 i colpi di scena si moltiplicarono: fu letta una Nota explicativa praevia sul rapporto tra primato romano e collegialità episcopale, annunciato il rinvio del documento sulla libertà religiosa e introdotta una ventina di modifiche al decreto sull'ecumenismo, episodi letti con lucidità nei diari di Yves Congar e Henri de Lubac già mezzo secolo fa, non così drammatici come furono vissuti da molti altri e anzi opportuni, come è stato per il decisivo decreto sulla libertà religiosa, approvato un anno più tardi.
Ricostruiti con rigore ed equilibrio quei giorni, Luis Antonio Tagle ha scritto nel 1999 che "senza la "settimana nera" il Vaticano II non sarebbe stato quel che è stato: da esso vengono belle lezioni, bellissimi documenti, entusiasmanti orizzonti, ma anche dolorose ferite", rendendo il concilio "una fonte di grazia" per la Chiesa e il mondo. Poco dopo la sua conclusione Paolo VI dice a Jean Guitton che il Vaticano II ha aperto delle vie e gettato dei semi, e se la storia insegna che i tempi successivi ai concili sono segnati da inerzia e turbamenti - conclude Montini - bisogna che sorgano apostoli e profeti per incarnare lo spirito del Vaticano II, un concilio che ha ricapitolato il passato e annuncia il futuro.

g.m.v.

 (© L'OPsservatore Romano 21/11/2014)