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L'urgenza della pace


 

La preoccupazione per Gerusalemme e per sostenere i cristiani della terra che è stata lo scenario dell'incarnazione del Figlio di Dio risale a tempi antichissimi ed è presente già nelle lettere di san Paolo. Oggi, in un contesto difficile e doloroso, questa preoccupazione ha portato, per la prima volta, a un'assemblea speciale per il Medio oriente del Sinodo dei vescovi. Un'esperienza davvero straordinaria l'ha definita Benedetto XVI, che l'ha voluta, presieduta e seguita con attenzione per due settimane.
Con il pensiero costante a tanti cristiani - che il Papa, sulle tracce dei suoi predecessori Paolo VI e Giovanni Paolo II, ha voluto visitare e incoraggiare durante i viaggi in Turchia, Giordania, Israele, Palestina e Cipro - che vivono disagi materiali, scoraggiamento, tensione, paura. In una regione da troppo tempo insanguinata da conflitti, guerre, terrorismo, e che pure è santa per i tre grandi monoteismi.
E il primo risultato del sinodo è stato quello di richiamare l'attenzione dei cattolici - ma anche di tutti i cristiani, degli ebrei, dei musulmani, di ogni persona che abbia a cuore le sorti della giustizia e della pace - su una regione vastissima dove troppe sono le incomprensioni, le rivalità, le ingiustizie, le violenze. Con la preghiera, innanzi tutto, come ha detto il vescovo di Roma concludendo l'assemblea a San Pietro e sottolineando il legame tra la preghiera stessa e la giustizia:  "Il grido del povero e dell'oppresso trova un'eco immediata in Dio, che vuole intervenire per aprire una via di uscita, per restituire un futuro di libertà, un orizzonte di speranza".
L'assemblea sinodale poi ha offerto un'occasione - finora mai sperimentata e di cui tutti dovrebbero rallegrarsi - di confronto ad alto livello, nella varietà delle posizioni e nella libertà di espressione, ma con una sostanziale importante convergenza nel desiderio e nell'auspicio di giustizia e di pace. Che vanno perseguite senza scoraggiarsi, attraverso un confronto amichevole, ma anche chiaro e costruttivo, tra cattolici di diversi riti, e tra questi e i cristiani di diverse confessioni, gli ebrei e i musulmani:  in quel "trialogo" che Benedetto XVI ha auspicato nel suo viaggio in Terra santa. Al di là delle differenze e delle difficoltà, con la pazienza del bene, bisogna infatti rendersi conto che la pace è indispensabile.
Ripetendo il grido di Paolo VI che "la pace è possibile", il suo attuale successore ha aggiunto che "la pace è urgente". Urgente se si vuole una vita degna della persona umana e della società. In tutti i Paesi della regione, senza distinzioni. Ed è questo anche l'unico antidoto all'emigrazione:  per le comunità cristiane una vera e propria emorragia, che bisogna fermare.
Un contributo che i cristiani possono portare nella regione - ha sottolineato con chiarezza Benedetto XVI - è poi la promozione di "un'autentica libertà religiosa e di coscienza, uno dei diritti fondamentali della persona umana che ogni Stato dovrebbe sempre rispettare". Uno "spazio di libertà" che va allargato attraverso il dialogo con i musulmani, come hanno auspicato i padri sinodali.
La preoccupazione della Chiesa è una sola, e questo spiega anche la sua politica:  testimoniare e annunciare il Vangelo. Come tante volte Benedetto XVI ha ripetuto e va ripetendo, senza stancarsi e senza scoraggiarsi. Per questo il Papa - che ha costituito a questo scopo un apposito organismo nella Curia romana - ha annunciato il tema della prossima assemblea ordinaria:  la nuova evangelizzazione. Indicando, nel Vicino e nel Medio oriente come nel resto del mondo, l'urgenza del Vangelo.

g.m.v.

 (© L'Osservatore Romano 26/10/2010)