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L'arcivescovo Nikola Eterovic traccia un bilancio a un mese dalla conclusione dell'assemblea sulla Parola di Dio

Un Sinodo riuscito
che ora va realizzato nella Chiesa


 

di FRANCESCO M. VALIANTE - GIOVANNI MARIA VIAN

"Un Sinodo riuscito". Anche se ci sarà bisogno ancora di tempo. E di riflessioni e analisi più approfondite per confermarlo. Ma a far sbilanciare già ora un tipo abitualmente misurato come l'arcivescovo Nikola Eterovic è il giudizio degli stessi protagonisti della xii assemblea generale ordinaria svoltasi in Vaticano dal 5 al 26 ottobre scorso. "Il segretario generale è contento dell'esito di un Sinodo - spiega - quando sono contenti quelli che vi partecipano. E mi sembra che siano tornati a casa pieni di entusiasmo un po' tutti i padri sinodali". Vale a dire gli oltre 250 tra cardinali, vescovi, sacerdoti e religiosi, riuniti in rappresentanza di 113 conferenze episcopali dei cinque continenti, di 13 Chiese orientali cattoliche, di 25 dicasteri della Curia romana e di alcuni istituti religiosi:  quasi un piccolo concilio della Chiesa contemporanea, con una significativa presenza di consacrati e laici. "Non vorremmo peccare di presunzione - precisa Eterovic - ma va ricordato che il Sinodo è nato proprio nell'ambito del Vaticano ii. E ha come compito anche quello di favorire l'applicazione delle grandi decisioni conciliari alle mutate condizioni pastorali e sociali delle Chiese particolari". Con un metodo - aggiunge - che "riflette quello del concilio, perfino nella struttura generale del regolamento".
Dal 2004 segretario generale del Sinodo dei vescovi, il presule croato - in un colloquio con chi scrive e con il direttore del nostro giornale - traccia un bilancio complessivo dell'assise dedicata alla Parola di Dio. E mentre passa in rassegna novità, indicazioni, prospettive, guarda già alle prossime tappe del cammino sinodale:  la pubblicazione dell'esortazione apostolica di Benedetto XVI e l'assemblea speciale per l'Africa, in programma nell'ottobre del 2009.

A un mese dalla conclusione, che giudizio ha maturato sull'ultima assemblea sinodale?

Penso che più passa il tempo, più vengono alla luce i suoi aspetti positivi. Come ha detto il Papa, si è trattato veramente di "un evento dello Spirito". Tutti noi ne abbiamo fatto esperienza:  nella preghiera, nella testimonianza, nella riflessione, anche nelle difficoltà legate ai ritmi e alla mole del lavoro affrontato in queste tre settimane. Sempre parafrasando una frase di Benedetto XVI, il Sinodo è stato un'autentica "scuola dell'ascolto". Solo ascoltando si può avere un'idea della ricchezza di culture, di lingue, di situazioni sociali e soprattutto di dinamismo ecclesiale che caratterizza le singole diocesi. Da questa pluralità di partenza si giunge poi a una base comune su cui converge tutto il lavoro dei padri sinodali, un po' come per la Sacra Scrittura:  dalle parole bisogna arrivare alla Parola. La sinodalità, del resto, è una dimensione "costitutiva" della Chiesa, secondo un'altra efficace espressione del Papa.

Ma lei crede che questa assemblea abbia coinvolto realmente tutta la Chiesa o sia rimasta un'esperienza per addetti ai lavori?

Una risposta a questa domanda è già implicita nella rappresentatività dei padri sinodali. Oltre il 70 per cento di loro sono stati eletti dalle conferenze episcopali o da altri organismi collegiali. Questo vuol dire che, una volta tornati nelle loro Chiese particolari, hanno portato agli altri vescovi i risultati di questa esperienza, favorendo la concreta realizzazione del Sinodo. Ovviamente si tratta di un processo lungo. già incominciato, ma deve continuare. E una tappa essenziale sarà l'esortazione apostolica post-sinodale.

Che tempi si prevedono per la sua pubblicazione?

C'è un particolare iter di preparazione, in cui il Consiglio ordinario della Segreteria generale del Sinodo dei vescovi svolge un ruolo molto importante. Che consiste - se così si può dire - nell'aiutare il Papa a raccogliere i frutti del Sinodo e a formularli nel testo dell'esortazione. Per far questo è necessario un tempo adeguato:  bisogna permettere che questa grande ricchezza si sedimenti e venga assorbita anche attraverso il contatto con le Chiese particolari. La nostra prima riunione dedicata all'esortazione è in programma il 20 gennaio del prossimo anno. Da quell'incontro comincerà il lavoro materiale vero e proprio. Difficile fare previsioni sui tempi. Diciamo che in genere occorre un anno, anche perché il testo dell'esortazione deve essere tradotto nelle varie lingue.

Ma non c'è il rischio che in questo anno si affievoliscano la novità e la vivacità della riflessione scaturita dai lavori?

Non credo, perché quello della Parola di Dio è un tema praticamente eterno:  da duemila anni la Chiesa vive della Parola. C'è anche da considerare che moltissimi vescovi hanno deciso di dedicare proprio a questo tema un anno o addirittura un intero quinquennio pastorale. Dunque è un discorso che nei prossimi mesi sarà ben presente nella riflessione di tutte le Chiese particolari. Il Papa stesso continuerà a tenerlo vivo:  pensiamo, per esempio, alle sue catechesi su san Paolo alle udienze generali. Del resto, noi vogliamo uscire da questa sorta di legge non scritta dei mass media, secondo la quale un avvenimento per essere attuale va tenuto ogni giorno "in prima pagina". Credo che occorra trovare un giusto equilibrio tra l'esigenza di essere aggiornati tempestivamente e la necessità di una riflessione approfondita sui temi sinodali.

A proposito di questo aspetto, lei non ha l'impressione che questo Sinodo abbia fatto un po' fatica a emergere sui mass media, soprattutto su quelli di ispirazione non cattolica?

Paradossalmente potrebbe anche trattarsi di un fatto positivo. Nel senso che spesso il Sinodo fa notizia soltanto per polemiche o presunti "scandali" che vengono tirati fuori ad arte ogni qual volta si discute di certe tematiche. Evidentemente stavolta sono mancati gli spunti, visto il clima autenticamente ecclesiale che ha caratterizzato i lavori.

Eppure si è colta qualche difficoltà, soprattutto nel comunicare il vero tema dell'assemblea:  "Parola di Dio" è stata generalmente tradotta come "Bibbia", anche se in realtà si trattava di un discorso più ampio.

Una delle proposizioni presentate a Benedetto XVI parla proprio del senso "analogico" della Parola di Dio. Il Papa stesso ha sottolineato la sua dimensione "polifonica". In effetti, la Parola per eccellenza è Gesù Cristo. E sicuramente i media non hanno colto in pieno questo aspetto. Diciamo comunque che c'è stata anche un'informazione positiva e puntuale, grazie alla quale molti hanno potuto seguire gli aspetti più importanti dell'attività dell'assemblea:  per esempio gli interventi del Papa, che sono stati sempre molto ricchi e stimolanti. Penso non solo alle omelie delle messe che hanno scandito le settimane del Sinodo, ma al suo contributo diretto al dibattito. Per esempio, la meditazione sull'attualità della Parola di Dio in questo momento di crisi economica e finanziaria - svolta a braccio all'inizio della prima giornata di lavori - ha colpito molto e ha avuto vasta eco anche sui media.

Non crede che questo legame tra Parola di Dio e attualità sociale messo in evidenza da Benedetto XVI non sempre sia stato tenuto in considerazione dagli interventi dei padri sinodali?

Questa impressione, in verità, non rispecchia tutta la ricchezza del Sinodo. Basta guardare i contenuti di alcune delle proposizioni. Dove, per esempio, si parla della riconciliazione e dell'impegno per la costruzione di un mondo giusto e pacifico. La riscoperta della Parola di Dio è un richiamo alla Chiesa perché diventi luogo di riconciliazione. Questo ha conseguenze pastorali importanti, perché ai credenti spetta il dovere di trasmettere la riconciliazione al mondo moderno attraversato da conflitti e tensioni. E Cristo, Parola di Dio, è colui che realmente ci riconcilia con gli altri uomini e con tutto il creato. Questi temi sono stati presenti nella riflessione sinodale. A leggere con attenzione le proposizioni si coglie la loro ricchezza di fondo, che rispecchia - sia pure solo in parte - tutta la vivacità del dibattito del Sinodo.

Qual è il rapporto tra i contenuti del messaggio finale e delle proposizioni?

Con il messaggio i padri sinodali hanno voluto comunicare a tutto il popolo di Dio il clima e i temi principali della riflessione sinodale. È stato pubblicato in varie lingue e ci risulta che sia stato ben accolto. Molti padri hanno assicurato che la prima catechesi sul Sinodo nelle Chiese particolari sarà dedicata proprio al messaggio. Le proposizioni - anche questa volta rese pubbliche con il consenso del Papa - sono invece le linee guida su cui è stato raggiunto il consenso dell'assemblea. Tutte sono state approvate con la maggioranza qualificata - oltre due terzi dei padri - o addirittura all'unanimità. E costituiranno l'ossatura dell'esortazione apostolica post-sinodale.

Uno dei temi più dibattuti negli interventi sinodali è stato quello delle omelie. Lo stesso era avvenuto nel Sinodo del 2005 sull'Eucaristia. In questi tre anni le difficoltà e i problemi evidenziati si sono risolti o accentuati?

Quello delle omelie è un tema molto delicato. Io penso che da parte di tutti - preti e fedeli - ci voglia soprattutto un atteggiamento di ascolto e di disponibilità. L'omelia come comunicazione della dottrina della Chiesa ha per scopo fortificare la fede, chiamare alla conversione e preparare alla attuazione del mistero pasquale nella vita di ogni giorno. Ovviamente il primo a sentirsi interpellato è lo stesso predicatore. Pertanto si deve fare tutto il possibile perché ci sia un'adeguata preparazione, a cominciare dai seminari. Esistono strumenti preziosi in vista di questo scopo. Il Sinodo, per esempio, ha insistito molto sulla lettura frequente della Parola di Dio e sulla lectio divina. E poi siamo in attesa di un direttorio sulle omelie, a cui stanno lavorando la Congregazione per la Dottrina della Fede, la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per il Clero.

Di che cosa si tratta?

È un sussidio richiesto dal Sinodo del 2005 sull'Eucaristia e rilanciato nell'esortazione apostolica post-sinodale Sacramentum caritatis. Costituirà un aiuto importante per trattare tutti i temi essenziali della fede cattolica durante il ciclo liturgico triennale. Ovviamente non conterrà omelie già fatte, ma spunti. Lo stanno preparando diversi esperti e penso che la sua pubblicazione avverrà entro il 2009. Così come non è lontana - dovrebbe essere pronto nei prossimi mesi - la pubblicazione del compendio eucaristico, un altro dei frutti del Sinodo di tre anni fa.

Tra i temi più presenti nel dibattito c'è stato anche quello dell'esegesi biblica, su cui Benedetto XVI ha svolto un intervento chiarificatore. Come è stato accolto dai padri sinodali?

Io considero molto importante - e lo sarà ancor più in prospettiva - la proposta del Papa circa la necessità di superare il dualismo o addirittura la contrapposizione tra i due metodi di lettura e di intelligenza della Scrittura:  il metodo storico-critico e il metodo teologico. Questa unità di metodo è importantissima per gli studi esegetici. Magari può sembrare un tema riservato agli addetti ai lavori, ma in realtà è fondamentale per la vita della Chiesa e per la sua missione. L'indicazione di Benedetto XVI è stata accolta pienamente dai padri sinodali, anche se la sua effettiva realizzazione richiederà del tempo.

Questa assemblea verrà ricordata per due presenze inedite:  per la prima volta nella storia del Sinodo dei vescovi hanno preso la parola un rabbino e il Patriarca ecumenico di Costantinopoli. Eppure anche in questo caso è sembrato che certe polemiche giornalistiche siano riuscite a sviare l'attenzione dal vero significato di questi due interventi.

Proprio per questo io ribadirei il valore religioso della loro presenza. Quella del rabbino è stata un segno importante di apertura della Chiesa cattolica verso i nostri "fratelli maggiori". Noi lo abbiamo accolto con questo spirito. E la sua testimonianza si è inserita nella nostra riflessione sulla relazione tra Antico e Nuovo Testamento. Alla quale ha dedicato un intervento magistrale il cardinale Vanhoye, riproponendo il documento della Pontificia Commissione Biblica dedicato a "Il popolo ebraico e le sue Sacre Scritture nella Bibbia cristiana". Un intervento, quello del porporato, rivelatosi molto utile all'inizio della riflessione sinodale, perché ha aiutato a calarsi nella grande e viva tradizione della Chiesa che si fonda sull'Antico Testamento, dove noi riconosciamo anche le radici del popolo ebraico. Così la presenza del rabbino ha sottolineato gli aspetti comuni, ma ha offerto anche l'occasione per riproporre una lettura cristiana delle Scritture. Quanto al Patriarca ecumenico, direi che il momento di preghiera nella Cappella Sistina alla presenza dei padri sinodali sia da considerarsi un avvenimento importantissimo, che lo stesso Benedetto XVI ha sottolineato con parole eloquenti. Affermando esplicitamente davanti a Bartolomeo:  "In questo momento abbiamo realmente vissuto il Sinodo".

In questo senso, ritiene che la presenza del Patriarca ecumenico abbia aiutato a valorizzare meglio la dimensione della sinodalità, caratteristica di tutta la Chiesa ma indubbiamente percepita in modo più chiaro dalle Chiese orientali cattoliche e ortodosse?

Certamente il mondo orientale è molto sensibile alla dimensione della sinodalità. Una sensibilità che, peraltro, anche a noi non manca. Ovviamente le nostre differenze vertono sulla questione del primato. Noi abbiamo il privilegio di avere un primato, che si esercita in modo personale ma anche collegiale. In questo senso il Sinodo dei vescovi è un aiuto per il Papa, perché favorisce questa dimensione collegiale - si potrebbe dire proprio "sinodale" - del primato. Tutti i vescovi cattolici, di tradizione latina e orientale, hanno bisogno di questo centro di unità e di carità rappresentato dal vescovo di Roma. Devo dire, comunque, che anche gli ortodossi hanno mostrato grande apertura sulla necessità di avere un punto fermo in ordine al primato. Anche se sul modo di esercitarlo non c'è ancora consenso.

Il Sinodo sulla Parola può aprire prospettive nuove in questa direzione?

L'intervento di Bartolomeo, ma anche la presenza dei delegati fraterni, ha confermato che è in atto uno scambio di doni significativo con i nostri fratelli delle Chiese ortodosse. Ai quali siamo già uniti, anche se l'unione non è ancora piena. Molti sono stati colpiti dall'espressione usata da Benedetto XVI durante l'incontro in Sistina con il Patriarca ecumenico:  "Se abbiamo Padri comuni, come potremmo non essere fratelli tra noi?". Certo, non tutte le Chiese ortodosse hanno lo stesso ritmo ecumenico. La sinodalità è un po' anche questo:  avere pazienza con coloro che sono un po' indietro. Peraltro, io ho trovato molto significativo l'apprezzamento manifestato dai delegati fraterni che hanno partecipato ai lavori. Alcuni avevano forse un'idea troppo verticistica e gerarchica della Chiesa cattolica. Ed è bene, invece, che abbiano visto come si lavora realmente in un Sinodo. Noi non abbiamo niente da nascondere, soprattutto sulla Sacra Scrittura. Che prima era motivo di divisione. Ma ora, riscoperta con obiettività e serenità, sta diventando un denominatore comune che avvicina.

Anche alle altre religioni?

Io penso che il Sinodo abbia avuto e avrà ripercussioni importanti col mondo ebraico e con l'islam. Ho già detto che è stata molto importante la presenza del rabbino. E vorrei ricordare che una delle proposizioni elaborate dai padri sinodali è dedicata al dialogo coi musulmani. Ai quali chiediamo collaborazione ma anche reciprocità e rispetto della libertà di coscienza e di religione. Si stanno facendo dei passi notevoli in questo senso - pensiamo al primo seminario del forum cattolico-musulmano svoltosi a Roma appena pochi giorni dopo la conclusione del Sinodo - anche se noi vorremmo che fossero più spediti.

A confronto con gli ortodossi e, soprattutto, con i protestanti, i cattolici hanno fama di conoscere poco le Sacre Scritture. Dal suo punto di osservazione privilegiato, qual è lo stato di salute biblica del cattolico medio?

Grazie a Dio non è così critico. Ci salvano i praticanti, coloro che frequentano l'Eucaristia tutte le domeniche e i giorni di precetto. È proprio lì, nella liturgia, che apprendono la familiarità con la Parola di Dio. Quello su cui siamo più carenti invece è il rapporto personale e familiare con la Bibbia. Si tratta di una necessità irrinunciabile, anche per poter dare ragione della nostra fede agli altri. Ma, al di là dell'aspetto confessionale, resta comunque un'esigenza culturale. Perché la Bibbia è il codice della civiltà occidentale.

Questo è il suo secondo Sinodo da Segretario generale. Ed è anche il secondo di Joseph Ratzinger da Pontefice. Tra l'assemblea del 2005 sull'Eucaristia e questa del 2008 sulla Parola di Dio quali sono le somiglianze, le differenze, gli sviluppi?

Penso anzitutto che sia stata una grazia aver partecipato a questi Sinodi su due grandi temi della nostra fede. Il legame tra di loro è evidente ed è racchiuso nella liturgia. Siamo partiti dalla mensa del Pane spezzato e siamo arrivati alla mensa della Parola. Si tratta di un unico atto di culto. Il tema del Sinodo di quest'anno è il naturale completamento di quello di tre anni fa.

È stato il Papa a scegliere questo tema?

Sì, dopo che - come sempre avviene - abbiamo consultato l'episcopato mondiale. Quando termina un Sinodo, il Segretario generale scrive a tutte le Conferenze episcopali, ai Sinodi delle Chiese orientali cattoliche, ai dicasteri della Curia romana, all'Unione dei superiori generali, e chiede di indicare tre temi che potrebbero essere oggetto della successiva assemblea:  in questo caso, la maggioranza delle segnalazioni ha riguardato la Parola di Dio. Proprio seguendo questa prassi, abbiamo già dato il via alla consultazione per il tema del prossimo Sinodo dei vescovi.

Già nello scorso Sinodo sono state introdotte innovazioni significative:  i lavori sono stati concentrati in tre settimane, è stata ridotta la durata degli interventi e ampliata quella della discussione libera in aula. Sono tutte novità positive?

Senz'altro. Penso che abbiano dato un rinnovato dinamismo al Sinodo. Come è giusto che sia, perché un'istituzione al servizio della collegialità e della comunione episcopale deve continuamente rinnovarsi. Anche il nuovo Ordo Synodi Episcoporum, approvato nel 2006, riflette questa volontà di adeguare le norme giuridiche alla realtà in continuo sviluppo.

Riguardo alla discussione libera, in particolare, lei pensa che sia stata un'opportunità utilizzata in modo soddisfacente dai padri sinodali?

Il momento del dibattito libero ha avuto un duplice aspetto. In alcuni casi ci sono state discussioni "a tema" molto riuscite:  per esempio, quella sulla ricezione della Sacramentum caritatis o quella sul messaggio finale. Altre volte, invece, il confronto è stato un po' "a ruota libera". Abbiamo pensato che fosse utile lasciare una certa libertà ai padri sinodali, senza imporre alcuna discussione accademica o specialistica. Mi sembra che in questo Sinodo i vescovi abbiamo profittato maggiormente della discussione libera rispetto a tre anni fa. Si tratta comunque di una novità. E come tale va sottoposta a verifica. In futuro non è escluso che i presidenti delegati possano intervenire più incisivamente, moderando e orientando gli interventi. Personalmente credo che in genere sia meglio lasciare libertà di espressione, perché questo è uno stimolo ulteriore a intervenire anche per chi è più esitante. E ritengo che il risultato ottenuto sinora sia molto positivo.

Si può dire, alla fine, che il Sinodo sia un'istituzione riuscita?

Sì. Ovviamente è sempre aperta alla possibilità di miglioramento. Di per sé è già un evento eccezionale il fatto che la Chiesa cattolica, così grande e diffusa in tutto il mondo, per mezzo dei suoi Pastori abbia la possibilità di incontrarsi e di confrontarsi intorno al Papa. A questo proposito, devo sottolineare il generale apprezzamento per la disponibilità di Benedetto XVI all'ascolto e al dialogo anche personale con ciascuno dei vescovi. Tutti singolarmente hanno potuto incontrare e salutare il Pontefice.

Il Papa è stato più presente nel Sinodo del 2005 o in questo?

Credo che le presenze si equivalgano. Quando gli impegni glielo hanno permesso, ha preso parte ai lavori sempre con disponibilità. Ha pregato con i padri sinodali, ha seguito gli interventi, addirittura sottolineando i testi e prendendo appunti. Lui stesso ha confessato che è stato commovente partecipare al Sinodo. E se lo dice lui, che è stato un grande padre sinodale - è stato presente a quasi tutte le assemblee celebrate sino a oggi -, gli si può credere.

Sono previsti novità o ritocchi in vista del prossimo Sinodo?

Noi siamo aperti a ogni proposta. Gli stessi padri sinodali ci hanno offerto vari suggerimenti. Anche se talvolta le sollecitazioni andavano in senso diametralmente opposto. Per esempio, alcuni hanno fatto notare che la prima parte dei lavori dedicata agli interventi - stavolta sono stati ben 223 - risulta pesante. Altri, invece, l'hanno giudicata molto arricchente e interessante. Direi che in questo momento dobbiamo concentrarci sulla messa a punto delle novità già introdotte, anche perché la prossima assemblea speciale per l'Africa è ormai alle porte.

A che punto è la preparazione?

È già a buon punto. Il tema di riflessione sarà:  "La Chiesa in Africa a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. "Voi siete il sale della terra... Voi siete la luce del mondo" (Matteo 5, 13.14)". Il Papa ha stabilito che si celebrerà dal 4 al 25 ottobre 2009 e ha annunciato che andrà in Camerun nel prossimo marzo per presentare l'Instrumentum laboris ai presidenti delle Conferenze episcopali africane. Si tratta di 36 presidenti in rappresentanza di 56 Paesi dell'Africa. Noi stiamo già preparando questo documento con il Consiglio speciale per l'Africa della Segreteria Generale del Sinodo dei vescovi, che si riunisce proprio da domani, 27 novembre. Insomma, non si può proprio dire che il lavoro ci manchi.

(© L'Osservatore Romano 26/11/2008)