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Alla luce

del concilio

È una riflessione importante sulla realtà della fede e sulla Chiesa il videomessaggio del Papa per il centenario della Facoltà di teologia dell’Università cattolica argentina, ricorrenza che coincide con il cinquantesimo anniversario della conclusione del Vaticano II. E appunto nella luce del concilio Bergoglio interviene con nettezza sul significato e sulla portata della tradizione cristiana.

La memoria — dice il Pontefice — ci permette di ricordare da dove veniamo: così «ci uniamo ai tanti che hanno tessuto questa storia», e si scopre che «il popolo fedele di Dio non è stato solo», ma sempre accompagnato dallo Spirito. E dalla ricorrenza dell’istituzione argentina il Papa prende lo spunto per domande radicali, che interessano non solo i cattolici: Chiesa, che dici di te stessa? Come oggi incarni la tua fede?

Non esiste una Chiesa particolare isolata — dice il Pontefice — ma nemmeno esiste una Chiesa universale che volti le spalle e si disinteressi della realtà locale: «La cattolicità esige, richiede questa polarità in tensione tra il particolare e l’universale, tra l’uno e il molteplice, tra il semplice e il complesso». Tensione dinamica che nasce dallo Spirito e dunque non va annullata, riflettendosi nella relazione fra «tradizione ricevuta e realtà concreta».

Questa dinamica, caratteristica delle vicende del cristianesimo nella storia, fu ben presente negli anni del concilio, come sottolineava Giovanni XXIII, citato oggi dal suo successore: «Per la prima volta nella storia i Padri del Concilio apparterranno, in realtà, a tutti i popoli e nazioni, e ciascuno recherà contributo di intelligenza e di esperienza, a guarire e a sanare le cicatrici dei due conflitti, che hanno profondamente mutato il volto di tutti i paesi».

Una fede radicata nella carne delle vicende umane, dunque, dove la tradizione è un concetto dinamico, secondo una definizione di Benedetto XVI ripresa da Francesco: non è infatti — come molti credono o pretendono — «trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti». E aggiunge oggi Bergoglio: «Questo fiume irriga diverse terre, alimenta diverse geografie, facendo germogliare il meglio di quella terra, il meglio di quella cultura.  In questo modo, il Vangelo continua a incarnarsi in tutti gli angoli del mondo, in maniera sempre nuova».

In perfetta coerenza con i suoi predecessori Papa Francesco addita poi le tentazioni opposte del conservatorismo fondamentalista e dell’apertura indiscriminata a ogni novità: «Per superare queste tentazioni bisogna prendere molto sul serio la tradizione della Chiesa e molto sul serio la realtà» e metterle tra loro in dialogo. Teologia e pastorale non sono dunque realtà opposte o separate, come opposte non devono essere, in chi crede, la riflessione e la vita. E in questo — sottolinea il Papa — il concilio «ha in certa misura rivoluzionato lo statuto della teologia».

Ecco perché il teologo cristiano deve essere figlio del suo popolo, uomo di fede — non è teologo chi «non tenti di sviluppare in se stesso» gli stessi sentimenti di Cristo — e profeta. Per cercare una corrispondenza creatrice con il nostro tempo.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 05/09/2015)