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Ancora insieme,

di nuovo in cammino

 

Pubblichiamo un articolo uscito nel  numero di gennaio di «Pagine ebraiche. Il giornale dell’ebraismo italiano».

In un tempo mediaticamente ossessionato dalle prime volte (che spesso prime non sono affatto), che interesse e che senso può avere la visita di papa Francesco alla comunità ebraica di Roma? Non è difficile rispondere che proprio la consuetudine degli incontri tra il pontefice, capo visibile della chiesa cattolica, ed esponenti o comunità dell’ebraismo mondiale, ormai moltiplicatisi soprattutto negli ultimi anni, rendono questo nuovo incontro, dopo quelli dei suoi predecessori, non meno significativo, ma al contrario ancora più rilevante nella crescita irreversibile della reciproca conoscenza (ancora scarsa, per la verità) e dell’amicizia.

Per la visita, come per quella di Benedetto XVI, è stato scelto il giorno in cui in Italia si celebra il dialogo tra cattolici ed ebrei, fissato non casualmente alla vigilia della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. In modo analogo, l’organismo della Santa sede deputato ai rapporti con l’ebraismo è inserito in quello istituito per favorire l’unione tra le confessioni cristiane tra loro separate. In modo da esprimere una realtà antica e di cui si va sempre più prendendo coscienza, e cioè che la prima dolorosa separazione è stata proprio tra sinagoga e chiesa.

Separazione che ha portato a una storia complicata, fitta di incomprensioni, inimicizie, disprezzo, violenze, persecuzioni, ma anche di vicinanza e rapporti fecondi. Attraverso vicende, dialettiche e tensioni fortissime, anche se queste mai hanno portato ebrei e cristiani a troncare un legame che non può né potrà essere reciso e il cui significato sarà rivelato soltanto alla fine dei tempi. Meno di trent’anni dopo il supplizio sulla croce e la resurrezione di Gesù, il maestro di Nazaret, è già Paolo a intuire questa storia misteriosa quando detta la sua lettera alla comunità cristiana di Roma, di origine ovviamente giudaica e che ancora non conosce.

Nell’età moderna e in quella contemporanea, nuove persecuzioni, l’assimilazione in alcuni paesi europei, giudeofobie, antigiudaismi e antisemitismi diversi s’intrecciano fino al maturare e allo scatenarsi del male radicale nella shoah, con lo sterminio di sei milioni di ebrei nel vecchio continente. La tragedia, quasi indicibile nel suo orrore, porta di fatto a una vicinanza e a una volontà di comprensione nuove tra cristiani ed ebrei. Fino alle intuizioni di Giovanni xxiii e soprattutto alla determinazione di Paolo vi, che con pazienza porta il concilio a votare quasi all’unanimità una dichiarazione apertamente positiva sulle religioni non cristiane, e in particolare sull’ebraismo.

La visita del primo vescovo di Roma venuto dall’America alla più antica comunità della diaspora giudaica avviene appunto cinquant’anni dopo l’approvazione del testo conciliare. Per ragioni anagrafiche Bergoglio è anche il primo papa a non avere partecipato al Vaticano ii, ma del concilio che ha cambiato il volto della chiesa cattolica è figlio, viene da un paese, l’Argentina, dove è radicata una forte minoranza ebraica, e come vescovo ha alle spalle una storia di consuetudine e di amicizia con diversi esponenti dell’ebraismo.

Nei decenni successivi al Vaticano ii i rapporti di conoscenza, amicizia e collaborazione tra moltissimi cattolici ed ebrei si sono intensificati al punto non solo di bilanciare ma addirittura di soverchiare resistenze e opposizioni che si ritrovano comunque, anche tenaci, in entrambe le parti. Più difficile invece è superare l’indifferenza, l’ignoranza e la diffidenza reciproche. In questo un uomo su tutti va ricordato per quanto ha fatto a favore dell’avvicinamento tra le due comunità, e questi è Elio Toaff, per mezzo secolo rabbino capo di Roma, ricordato da Giovanni Paolo ii nel suo testamento singolarmente dominato da una visione mistica della storia.

Francesco arriva dunque nel Tempio Maggiore di Roma accompagnato da una storia lunghissima e che nelle ultime settimane è stata segnata da due documenti molto importanti: una dichiarazione, tanto breve quanto importante, di venticinque rabbini ortodossi, in gran parte israeliani e statunitensi, sul significato e sul valore del cristianesimo, da una parte, e dall’altra un lungo documento della commissione della Santa sede per i rapporti con l’ebraismo sulla irrevocabilità dei doni di Dio al popolo della prima alleanza. Testi che costituiscono un reciproco impegnativo riconoscimento, nell’affermazione esplicita che una e indivisibile è la vocazione di ebrei e di cristiani: un passo avanti che non è azzardato definire di portata storica.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 16 gennaio 2016)