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Biglietto da visita

Tanto inattesa per il gran numero di persone assiepate ai bordi delle strade di Yangon quanto gentile e festosa nei modi è stata l’accoglienza a Papa Francesco, primo Pontefice a visitare il Myanmar, dove cattolici e cristiani sono una piccola minoranza. E chiarissime sono risuonate le sue parole pronunciate a sorpresa dopo l’incontro con un gruppo di esponenti religiosi nell’arcivescovado della città. A loro Bergoglio ha subito espresso, parlando a braccio in spagnolo, la convinzione e la fiducia che proprio le diverse fedi, unite ma non uniformi, possono contribuire attraverso le proprie differenze alla costruzione della pace e dell’armonia.

Quasi uno spontaneo biglietto da visita con il quale l’ospite, così gentilmente accolto, si è presentato a tutta la popolazione. E che il Papa ha confermato qualche ora più tardi nella nuova capitale del paese, Nay Pyi Taw, circondata dal verde di immense foreste, parlando alle autorità e al corpo diplomatico dopo avere ascoltato il saluto caloroso del consigliere di stato e ministro degli esteri Aung San Suu Kyi, insignita nel 1991 del premio Nobel per la pace.

Solo pochi mesi dopo l’instaurazione di normali relazioni diplomatiche tra Myanmar e Santa Sede all’inizio del maggio scorso, il Pontefice ha spiegato lo scopo della sua visita. E cioè, innanzi tutto, «pregare con la piccola ma fervente comunità cattolica della nazione, per confermarla nella fede e incoraggiarla nella fatica di contribuire al bene del paese». Chiesa piccola, nella quale per la prima volta nel 2014 è stata celebrata la beatificazione di due martiri, un catechista autoctono e un missionario italiano, mentre Francesco nel 2015 ha creato il primo cardinale originario del paese, Charles Bo, l’arcivescovo di Yangon che in questi giorni lo ospita nella sua casa.

Minoranza accanto ad altre in un paese quasi totalmente buddista, nonostante non poche difficoltà il cattolicesimo è impegnato per l’edificazione di «un ordine sociale giusto, riconciliato e inclusivo» ha assicurato il Papa. Nella storia recente del Myanmar si sono infatti moltiplicati i conflitti, che hanno lasciato una pesante eredità di divisioni. Così, oggi «la guarigione di queste ferite si impone come una priorità politica e spirituale fondamentale» ha scandito il Pontefice.

Politicamente il «processo di costruzione della pace e della riconciliazione nazionale può avanzare solo attraverso l’impegno per la giustizia e il rispetto dei diritti umani» ha ricordato Francesco. E ha spiegato che questa pace deve essere «fondata sul rispetto della dignità e dei diritti di ogni membro della società, sul rispetto di ogni gruppo etnico e della sua identità, sul rispetto dello stato di diritto e di un ordine democratico che consenta a ciascun individuo e ad ogni gruppo — nessuno escluso — di offrire il suo legittimo contributo al bene comune».

Parole chiarissime, alle quali il Papa ha aggiunto quanto già aveva anticipato agli esponenti religiosi incontrati in mattinata a Yangon. E cioè che «le differenze religiose non devono essere fonte di divisione e di diffidenza, ma piuttosto una forza per l’unità, per il perdono, per la tolleranza e la saggia costruzione del paese». Contribuendo in questo modo a guarire «le ferite emotive, spirituali e psicologiche di quanti hanno sofferto negli anni di conflitto».

g.m.v

(©L'Osservatore Romano, 29 novembre 2017)