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Dinamiche

di una conversione

 

La festa di san Matteo ha per Papa Francesco un significato molto particolare, legato alla storia della sua vocazione. Proprio quel giorno, quando ancora non aveva compiuto diciassette anni — è stato lo stesso Bergoglio a raccontarlo all’inizio del suo episcopato — avvertì improvvisamente che la sua vita avrebbe davvero avuto senso se avesse intrapreso una scelta radicale. Che maturò con il tempo ma che subito egli collegò con la chiamata del pubblicano: Gesù lo guardò con misericordia e lo scelse. Miserando atque eligendo avrebbe riassunto efficacemente molti secoli dopo, nel commentare l’episodio evangelico, un monaco medievale.

            Di quelle parole così espressive si ricordò il giovane di allora quando venne nominato vescovo, e a sua volta le scelse come motto episcopale. E di nuovo oggi è tornato a parlare della vocazione del pubblicano Matteo, celebrando la messa a Holguín in una caldissima mattinata di sole: «Celebriamo la storia di una vocazione» ha detto il Pontefice parlando di un incontro che segna la vita, di un «gioco di sguardi» — come quello immaginato da Caravaggio — capace di trasformare la storia. È questa infatti «la nostra storia personale; come molti altri, ognuno di noi può dire: anch’io sono un peccatore sul quale Gesù ha posato lo sguardo».

            Ma non basta, ha continuato Papa Francesco: all’amore ha fatto seguito la missione. Ecco dunque perfettamente spiegato il motto — «missionario di misericordia» — di questa sua visita a Cuba. Per l’apostolo Matteo, «e per chiunque ha sentito lo sguardo di Gesù, i suoi concittadini non sono quelli di cui “si vive”, si usa e si abusa. Lo sguardo di Gesù genera un’attività missionaria, di servizio, di dono di sé. Il suo amore cura le nostre miopie e ci stimola a guardare più in là, a non restare alle apparenze o al politicamente corretto» ha spiegato il Pontefice alle decine di migliaia di cubani che lo ascoltavano.

            Oggi a Cuba è questo un compito che la Chiesa svolge con sforzo e sacrificio — ha continuato Bergoglio — «per portare a tutti, anche nei luoghi più isolati, la parola e la presenza di Cristo». Attraverso, per esempio, le cosiddette «case di missione» che, in una situazione in cui scarseggiano luoghi di culto e sacerdoti, «permettono a tante persone di poter avere uno spazio di preghiera, di ascolto della Parola, di catechesi e vita comunitaria»: veri e propri «segni della presenza di Dio nei nostri quartieri», che aiutano a vivere il Vangelo e la sua misericordia, aperta per chiunque si senta escluso.

            Dalla parola evangelica e dalla propria esperienza personale il Papa ha voluto così trarre un forte incoraggiamento per i cattolici cubani. Proprio come aveva fatto negli incontri all’Avana con le religiose, i religiosi e gli studenti, quando ha consegnato i discorsi preparati e ha preferito improvvisare due lunghe risposte ai “profeti” che aveva appena ascoltato: il «cardinale Jaime», arcivescovo della capitale, e una giovane suora. Ma anche in un lungo incontro privato con l’episcopato di Cuba presso il santuario mariano nazionale della Vergine del Cobre, di cui ricorre il centenario della proclamazione come patrona della Nazione. Incontro sigillato da una preghiera silenziosa davanti alla veneratissima immagine.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 23/09/2015)