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L’urgenza della missione

Tre parole per i tre incontri del Papa nell’ultima tappa, domenicale, della Giornata mondiale della gioventù 2019 di Panamá: adesso, volto, missione. La prima parola è “adesso” e il Papa la ricava dal brano del Vangelo letto davanti a oltre mezzo milione di giovani raccolti al Metro Park per la santa messa e in particolare dalle ultime parole che Gesù pronuncia nella sinagoga di Nazareth: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato» (Luca 4, 20). Con queste parole, ha commentato il Papa, «Gesù rivela l’adesso di Dio che ci viene incontro per chiamare anche noi a prendere parte al suo adesso». Questo adesso è il tempo di Dio che irrompe nella vita dell’uomo senza aspettare situazioni ideali o perfette ma che rende giusti e opportuni ogni situazione e ogni spazio. Ritorna qui un tema caro al Papa, quello dell’urgenza, che è una caratteristica propria dell’amore; l’urgenza (il tempo) che fa rima con la prossimità (lo spazio), insieme l’una e l’altra rivelano la natura fondamentale dell’amore cristiano: la concretezza. Quando un uomo dice di amare lo dice sempre all’indicativo presente e si riferisce al “qui e ora”, e a un nome e a un volto preciso. Citando una catechesi del 2005 di Benedetto XVI, il Papa osserva come spesso ci costi accettare che «l’amore divino si faccia concreto e quasi sperimentabile nella storia con tutte le sue vicissitudini dolorose e gloriose», preferiremmo tanto «un Dio a distanza: bello, buono, generoso ma distante e che non scomodi. Perché un Dio vicino e quotidiano, amico e fratello ci chiede di imparare vicinanza, quotidianità e soprattutto fraternità. Egli non ha voluto manifestarsi in modo angelico o spettacolare, ma ha voluto donarci un volto fraterno e amico, concreto, familiare».

Emerge gradualmente il tema del volto, la seconda parola che tornerà in modo centrale nel secondo incontro svoltosi presso la Casa-famiglia «Il Buon Samaritano». Il breve discorso prende lo spunto proprio dal nome del centro che fa riferimento alla celebre parabola; il Papa si sofferma sullo stile di Gesù che anziché rispondere alla domanda del dottore della legge (“chi è il mio prossimo?”) con teorie astratte preferisce raccontare una storia, offrire alla nostra attenzione «un esempio concreto di vita reale». Quella parabola rivela un aspetto fondamentale dell’amore, il volto appunto, su cui il Papa si concentra (tanto che viene da pensare che tra i “suoi” filosofi ci sia anche Levinas): «Il prossimo è soprattutto un volto» afferma il Pontefice, «che incontriamo nel cammino, e dal quale ci lasciamo muovere e commuovere: muovere dai nostri schemi e priorità e commuovere intimamente da ciò che vive quella persona, per farle posto e spazio nel nostro andare [...] Il Buon Samaritano, come tutte le vostre case, ci mostrano che il prossimo è prima di tutto una persona, qualcuno con un volto concreto, reale e non qualcosa da oltrepassare e ignorare, qualunque sia la sua situazione. È un volto che rivela la nostra umanità tante volte sofferente e ignorata».

A un mondo spesso in deficit di umanità, il Papa addita luoghi come questa casa-famiglia che mostrano il carattere profetico della Chiesa capace, grazie a esperienze simili, di «creare casa, creare comunità [...] creare casa è permettere che la profezia prenda corpo e renda le nostre ore e i nostri giorni meno inospitali, indifferenti e anonimi».

Infine la terza parola, missione: è il tema che scaturisce dall’ultimo incontro di questi cinque giorni panamensi, l’incontro con tutti i volontari della Gmg. Sono tanti, migliaia e migliaia, sugli spalti dello Stadio Rommel Fernández e accolgono il Papa con gioia contagiosa. L’aria di festa elettrizza un po’ tutti e il Papa da parte sua risponde e rilancia con un intervento, a tratti anche “a braccio”, pieno di slancio, affetto, energia. Parla la lingua di quei ragazzi pervenuti a Panamá da tutto il mondo il Papa: «Voi ora sapete come batte il cuore quando si vive una missione, e non perché qualcuno ve l’ha raccontato, ma perché l’avete vissuto» e i giovani rispondono con applausi scroscianti mentre insiste sulla dimensione missionaria della vita del cristiano e parla della «bellezza di saperci inviati, la gioia di sapere che al di sopra di tutti gli inconvenienti abbiamo una missione da portare avanti. Non lasciate che i limiti, le debolezze e nemmeno i peccati ci frenino e ci impediscano di vivere la missione [...] Hai messo il servizio e la missione al primo posto, e il resto vedrai che verrà in aggiunta».

È la giusta chiusura di un evento come la Gmg perché, come si evince al termine della messa, ite missa est, la missione è il cuore della vita cristiana ed è ciò che più di ogni altra cosa attira il cuore dei ragazzi e delle ragazze, che è fatto per cose grandi, per quel “di più” di cui il Papa gesuita ha parlato per tutti questi cinque giorni infuocando gli animi di oltre mezzo milione di giovani.

Andrea Monda

(© L'Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019)