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Papa Francesco

Matteo Ricci e l'inquietudine

per l’infinito

«La malinconia è l’inquietudine dell’uomo che avverte la vicinanza dell’infinito». Così Romano Guardini, maestro di tanti grandi spiriti del ’900 tra cui anche l’attuale Pontefice. E Papa Francesco è un uomo malinconico, proprio nel senso intuito da Guardini.

La malinconia è il tema a cui oggi dedichiamo uno dei nostri focus nelle pagine culturali ed in particolare essa emerge nel bell’articolo di don Gianni Criveller sulla figura di Matteo Ricci, il gesuita missionario in Cina alla fine del Cinquecento. Il profilo tracciato di Matteo Ricci si può applicare a quello di Jorge Mario Bergoglio e rimanere stupiti dalle somiglianze. Il Papa stesso ha riconosciuto una prima affinità, nell’intervista sulla Cina del 28 gennaio 2016 alla rivista Limes: «Io ho studiato la vita di Matteo Ricci e ho visto che quest’uomo provava quello che provavo io: ammirazione. Ho capito come è stato in grado di dialogare con questa grande cultura dotata di antichissima saggezza. È stato capace di “incontrarla”». E poi senz’altro in comune hanno la radice gesuitica, che si esprime in diversi modi, ad esempio nota Criveller parlando di Ricci che: «La composizione di luogo, insegnata dal fondatore Ignazio, è la pratica di entrare, grazie alla fruizione di immagini, in uno spazio immaginativo che conduce alla contemplazione. Le immagini creano mondi nuovi e conducono la persona fuori da sé, rendendo possibile un incontro con gli altri e con l’Altro».

È l’immaginazione il punto di incontro tra questi due figli di Ignazio divisi da quattro secoli di distanza, è da lì che scaturisce il medesimo carattere malinconico: «I malinconici sono spiriti geniali» nota Criveller «che percepiscono l’oscurità e la fugacità della condizione umana, e immaginano un mondo diverso. Inventano immagini visuali e poetiche per rappresentare un mondo altro. È la malinconia che Ricci scrive essere buona, anzi che avrebbe scrupolo a non avere. È la malinconia moderna».

Secondo Criveller Matteo Ricci è un uomo molto vicino alla sensibilità moderna, un “chierico” che riconosce apertamente il suo “essere molto carnale”, un altro aspetto che lo avvicina al gesuita Pontefice. Questa malinconia moderna, buona, è la stessa malinconia di Papa Francesco, che è sospinto dall’animo malinconico al tenace esercizio della speranza. Ci sono dunque due forme di malinconia, tra le quali è necessario fare discernimento; la malinconia buona è quella immaginativa e non depressiva, che porterebbe all’indolenza.

Infine poi c’è proprio la malinconia del missionario e questo vale ovviamente per Ricci ma anche per Bergoglio che fa della missione il cuore della vita della Chiesa; lui che è stato chiamato “alla fine del mondo”, conosce l’inquieta condizione del vivere costantemente sul crinale di una frontiera, alla periferia del mondo. E qui tornano perfettamente le parole di Guardini che ha dedicato un intero saggio al “Ritratto della malinconia”: «Ci sono quelli che sperimentano profondamente il mistero di una vita di confine. Non stanno mai decisamente o di qua o di là. […] Il significato dell’uomo sta nell’essere un confine vivente. L’unico atteggiamento adeguato alla realtà, quello più autenticamente umano, è influenzato dal confine». Forse è questo aspetto di “confine vivente” a dire una profonda verità dell’uomo che da sei anni guida il popolo dei cattolici, un aspetto che ancora sfugge a noi uomini dell’Europa, del “centro”, non abituati a un Papa malinconico. Anche per questo pensiamo che sia solo “eccentrico”.

Andrea Monda

(© L'Osservatore Romano, 15 marzo 2019)