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Un cammino possibile

Era il 20 agosto 1940 quando Roger Schutz arrivò a Taizé, un minuscolo villaggio quasi abbandonato nel cuore della Borgogna, terra d’origine della madre. Da quasi un anno la guerra incendiava l’Europa, ormai sprofondata nell’«ora delle tenebre». Nella prima enciclica il nuovo Papa l’aveva denunciata, dopo aver implorato chi correva verso l’abisso di fermarsi, ricordando in un estremo appello che «nulla è perduto con la pace». Il giovane pastore protestante svizzero arrivò in bicicletta su quella dolce collina, che sembrava avvolta da una pace irreale. La realtà era infatti ben diversa nella Francia invasa e divisa.

Roger venne ospitato da un’anziana donna, che gli chiese di restare, e forse ricordando la figura accogliente della nonna, che aveva affrontato la tragedia della prima guerra mondiale e lasciato in lui una traccia indelebile, il venticinquenne decise di rimanere. Fu in questo contesto, nel giorno in cui la liturgia cattolica ricorda il monaco Bernardo, che ebbe origine la comunità di Taizé, per la quale ora s’intrecciano tre anniversari: il settantacinquesimo degli inizi e i due — il centenario e il decennale — che toccano gli estremi della vita di Schutz, nato il 12 maggio 1915 e assassinato ormai novantenne da una squilibrata durante la preghiera della sera il 16 agosto 2005.

L’esempio della nonna materna, che di fronte alle divisioni dei cristiani e dei popoli negli anni durissimi dell’infanzia del nipote accoglieva quanti erano nel bisogno, aveva fatto maturare in Roger la convinzione che si dovesse cercare la riconciliazione e che fosse possibile farlo senza rinnegare le proprie origini. Così la supplica dell’anziana donna di Taizé — poche case intorno a una piccola chiesetta romanica — fece breccia nel cuore del viaggiatore, che decise di rimanervi. Accogliendo, con l’aiuto della sorella, perseguitati politici, ebrei e più tardi prigionieri tedeschi là dove meno di vent’anni dopo sarebbe sorta una moderna e suggestiva chiesa della Riconciliazione.

Agli inizi degli anni Sessanta infatti il nome di Taizé era già conosciuto in tutta Europa come luogo dove si andava per incontrarsi e pregare. Insieme ai fratelli della comunità monastica — all’inizio e per lunghi anni tutti protestanti e poi in gran numero cattolici — per i quali Schutz ha scritto una regola, ispirata alla tradizione benedettina e a quella ignaziana. E subito il piccolo gruppo di monaci ebbe il permesso, quasi all’alba del movimento ecumenico, di pregare per tre volte al giorno nella chiesa cattolica del villaggio, che presto non bastò più ad accogliere quanti venivano da fuori, circondata da un minuscolo cimitero dove ora riposa il fondatore insieme ad alcuni dei primi compagni.

Gli anniversari di Taizé — ricordati con affetto dal Papa — cadono nell’anno cinquantenario della conclusione del Vaticano II, il concilio al quale la comunità partecipò non solo con la presenza tra gli osservatori non cattolici, ma aprendo le porte dell’appartamento romano di via del Plebiscito, dove i fratelli erano ospitati, a molti padri conciliari. Percorrendo anche in questo modo un cammino possibile che anticipa e già ora permette di vivere l’unità dei cristiani.

g.m.v.

(© L'Osservatore Romano 20/08/2015)