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PAOLO VI

ANGELUS DOMINI

Domenica, 27 marzo 1977

 

Il grande dramma della Passione comincia. Esso si fa Oggi evidente nella liturgia: la Croce sugli altari è velata, quasi per obbligarci a pensare al mistero ch’essa nasconde. Ma chi se ne accorge? L’ondata della vita profana prosegue ininterrotta, resa più turbolenta ed amara dall’ora storica che passa sui popoli e che arriva anche alla nostra esperienza. Chi pensa alla rievocazione della morte e della risurrezione di Cristo? chi scopre che essa non è pura memoria, ma riflesso altresì attuale per ciascuno di noi? La vedremo questa rievocazione sui nostri schermi televisivi; ma sarà per noi una scena puramente esteriore, ovvero cercheremo noi di comprenderne il senso interiore?

Dio parla, anche nel Vangelo, mediante segni, che possono essere guardati e giudicati nella loro espressione sensibile, senza che il loro linguaggio vero e profondo, personalmente a noi rivolto, ci sia svelato. Affinché questa rivelazione ulteriore ci sia aperta, occorre che l’occhio della nostra coscienza sia aperto, sia «messo a fuoco»; altrimenti la parola del profeta Isaia, rievocata da Cristo stesso, ci accuserà di cecità: «... guarderete, ma non vedrete» (Is. 6, 9; Matth. 13, 14).

E come adattare il nostro vero occhio umano alla intelligenza del senso divino della rivelazione, se prima non ammettiamo che questo stesso occhio è chiuso, è malato, non coglie le forme autentiche di ciò che vede? Per vedere bene bisogna avere lo sguardo efficiente. In altre parole: bisogna che la nostra coscienza riconosca alla luce di Dio la propria colpa, e la denunci con coraggiosa sincerità. Allora vedrà; allora un nuovo rapporto sorgerà fra l’immagine di Cristo, anzi fra Cristo stesso e il nostro spirito. Il mistero della sua Passione e della sua Risurrezione sarà la causa della nostra salvezza.

Così Maria ci aiuti.

                            



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