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UDIENZA GENERALE DI PAOLO VI

Mercoledì, 28 ottobre 1964

 

Diletti Figli e Figlie!

Vi porgiamo di cuore il Nostro saluto! A tutti, a ciascuno! E come siamo soliti a fare, profittiamo di questo breve momento del Nostro incontro con voi per farvi meditare, per farvi gustare uno dei tanti aspetti che l’udienza del Papa può assumere per le vostre anime. Uno di questi aspetti si può definire il senso di comunione proprio d’un vero cristiano, che non può non essere un fedele cattolico. Questa parola «comunione», riferita alla Chiesa, fa ora, a buon diritto, fortuna. Il Concilio ne fa uso nei suoi schemi dottrinali; e coloro che cercano, oltre che sui libri, in fondo alla propria anima, che cosa significa appartenere alla Chiesa, trovano e sentono questa intima risposta: appartenere alla Chiesa vuol dire essere iscritti ad una società, non solo, ma partecipare altresì ad una circolazione di beni soprannaturali, che sono la fede, la speranza, la carità, la grazia. Vuol dire essere aderenti ad una comunione esteriore, visibile, prodotta e sostenuta da fratelli incaricati di fungere da pastori, da padri, dalla Gerarchia cioè; e vuol dire essere aderenti ad una comunione interiore animata dallo Spirito Santo.

Ed ecco allora che l’udienza del Papa diventa una specie di esame di coscienza, di controllo interiore, circa l’adesione che il visitatore possiede e professa verso la comunione ecclesiale, di cui il Papa è il centro e il promotore principale.

Noi non dubitiamo che codesta prova abbia risposta positiva. Qui ciascuno dei presenti si chiede: sono io nella comunione del popolo di Dio e della sua Gerarchia apostolica? Certamente, Noi vogliamo credere, sarà la risposta; anzi ciascuno dirà a se stesso, con un atto cosciente e fervoroso: sì, io voglio essere e sempre essere in questa comunione della salvezza che è la Chiesa di Cristo, della quale Pietro è il nesso supremo d’unione e di stabilità.

Ora, diletti Figli, codesta adesione è di somma importanza. Noi potremmo fare Nostre le parole di Sant’Agostino: «. . . Chi rifugge dalla nostra comunione, sappia ch’egli si separa da tutta la Chiesa: «Communionem nostram qui refugit, sinceritas vestra noverit eum sese a tota Ecclesia separare» (Ep. 204, 7). Ancora la scultorea parola di S. Ambrogio viene al Nostro spirito: Ubi Petrus, ibi Ecclesia, dov’è Pietro, li è la Chiesa (in Ps. XL, 30; P.L. 14, 1082). L’adesione a Pietro ci fa aderire alla comunione con la Chiesa.

E sopra questa semplice, ma fondamentale scoperta della comunione con la Chiesa si aprono altre due scoperte: quella della comunione con Cristo e quella della comunione dei Santi. Per essere uniti a Cristo bisogna essere uniti a chi Egli ha costituito depositari e ministri dei suoi doni di salvezza. Ed inoltre: «La comunione con la Chiesa gerarchica è presupposto indispensabile per la comunione dei Santi, per l’appartenenza al Corpo mistico del Salvatore» (Piolanti, La com. dei Santi, p. 482).

Questi pensieri possono giovare ad allargare l’orizzonte visuale della vita religiosa ordinaria e ad infonderle nuovo respiro nelle verità che fanno della nostra fede la nostra vita; e possono disporci a ben celebrare la prossima festa dei Santi, alla cui comunione già siamo congiunti, nella certezza ma nell’oscurità della fede, e alla cui comunione aspiriamo nella pienezza del godimento d’essere finalmente e totalmente con Cristo.

E a confortare questi pensieri, come a confortare in ogni suo buon desiderio ciascuno di voi, valga ora la Nostra Apostolica Benedizione.

 



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