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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 9 novembre 1966

 

Lo spirito di povertà e di carità gloria della Chiesa

Diletti Figli e Figlie!

Pensate un istante con Noi. La grande questione, che il Concilio ha posto davanti alla coscienza del Popolo di Dio, (il quale nel suo pieno e perfetto significato altro non è se non la Chiesa, una, santa, cattolica ed apostolica), e anche davanti alla considerazione del mondo, è quella del rapporto fra Cristo e la Chiesa. Questo rapporto può essere variamente cercato e definito. La Chiesa, ad esempio, si è detto che è la istituzione fondata da Cristo, com’Egli stesso ebbe a dire: «Io fonderò la mia Chiesa» (Matth. 16, 18); ma una fondazione viva, tanto che il Concilio la chiama «l’organismo visibile, col quale Cristo diffonde per tutti la verità e la grazia» (Lumen Gentium, 8); la continuazione perciò di Cristo nella storia, l’estensione, la ripetizione, per analogia, del mistero dell’Incarnazione (ibid.); il Corpo mistico di Cristo. La Chiesa perciò è tramite ed è termine, sotto diversi aspetti, dell’azione divina salvatrice nell’umanità. È comunicazione, è segno, è presenza di Cristo. Fra Cristo e la Chiesa esiste un rapporto molteplice, che ci fa pensare ad un connubio, ad una mistica identità. Ecco perché la Chiesa è chiamata dal Concilio medesimo «quasi un sacramento universale della salvezza» (Lumen Gentium, 48) e «sacramento dell’unità» (Sacros. Conc. 26; Lumen Gentium, 1 e 9).

Sacramento, dicemmo altra volta, vuol dire segno. Segno è qualche cosa che copre, e che nello stesso tempo scopre e rivela una realtà. Una realtà non immediatamente conosciuta, ma indicata, manifestata dal segno: significata. Se la Chiesa è sacramento, cioè segno sacro, può diventare molto interessante esplorare questo segno, cioè ricercare Cristo «significato» nella Chiesa. La ricerca potrà essere condotta per varie vie, come pure dicemmo. Indichiamo oggi una delle vie più dirette, insegnataci dal Signore stesso.

Egli ha detto: «Da questo tutti conosceranno - attenzione: qui è il segno! - che voi siete miei discepoli, se vi amerete, come Io vi ho amati, scambievolmente» (Io. 13, 35). Questa è per Noi una delle parole più dense e più forti del Signore; è il suo testamento, è il suo desiderio più profondo, quello per cui Egli desidera sopravvivere e rivivere nel tempo, dopo il suo passaggio al Padre, oltre il tempo. La carità - la agàpe, la dilectio - fra i seguaci del Signore, la carità, intensa ed estesa all’infinito, come fu la sua carità, è il grande e nuovo precetto della scuola cristiana: dove è in atto, la fedeltà al Maestro è autenticata; e se davvero la nostra carità tende a imitare (non possiamo mai dire: eguagliare!) quella sconfinata e divina di Gesù, Gesù è rappresentato, Gesù è presente. La nostra carità diventa segno; segno di Cristo.

Figli carissimi! Abbiamo noi sotto gli occhi simili segni di Cristo? Abbiamo noi nella Chiesa fatti caritativi, che ci fanno intravedere la sua presenza fra nomi? La Chiesa è ancor oggi convalidata nel suo possesso di Cristo dalla carità? Quella carità fondata sull’amor di Dio, quella carità che risolve tutti i contrasti della convivenza umana, quella carità, che si dona senza limiti e senza compenso? Sì, sì, diletti Figli di questa santa Chiesa cattolica; ella è tutta lucente di tali segni, di tali testimonianze! Aprite gli occhi e osservate quante luci di quella carità irradiano dal suo mantello; dal suo abito storico e concreto, vogliamo dire, un abito non tutto egualmente splendido e nuovo, un abito antico e tanto umano, che sempre ha bisogno d’essere riparato e rinnovato (come ha cercato di fare il Concilio), ma tutto smaltato dalle gemme scintillanti di quella presenza di Cristo, che la vera carità chiama ancora fra noi. Osservate quante vocazioni di uomini e di donne ancor oggi immolano vite giovani e fiorenti all’esercizio e alla testimonianza della carità. Osservate quanti umili preti dànno la loro esistenza di parroci, di cappellani, di maestri per animare di carità il Popolo di Dio; quanti Vescovi altro non fanno che promuoverla questa carità, che servirla, che impersonarla, che sacrificarvi se stessi!

Noi abbiamo, fra tante angustie e amarezze, questo quotidiano, superlativo conforto di vedere ogni giorno scintillare gli esempi della carità eroica nella santa Chiesa; e potremmo fare il giornale della carità, che sarebbe il documento quotidiano di quei segni commoventi e meravigliosi dell’attualità di Cristo fra noi.

Questi segni sono, per fortuna, dappertutto: nelle nostre istituzioni di assistenza, nelle nostre case di cura agli infermi, nelle nostre scuole, nella formazione cristiana dei fanciulli e dei giovani all’opera buona, nelle missioni; e se davvero uno spirito di carità suggerisce queste molteplici attività, Cristo vi appare, perché sono cristianesimo vissuto. E anche quando l’intenzione religiosa non fosse palese, ma palese è la bontà dell’azione, come in questi giorni vediamo avvenire in aiuto alle popolazioni colpite dalle tremende alluvioni, non scorgiamo noi nel sentimento generoso e nel gesto fraterno di tale solidarietà uno stile, un’umanità, che ci dicono essere, almeno in queste nobilissime manifestazioni, tuttora cristiana la nostra civiltà? I «segni» lo dimostrano.

E per noi credenti hanno poi questo di bello simili atti di generosità e di carità, che tutti li possiamo compiere con quello spirito che li trasfigura; tutti abbiamo una certa capacità di fare della nostra Chiesa, a cui abbiamo la fortuna di appartenere, un segno; un segno di Cristo; di rendere così presente Cristo nel nostro tempo e nel nostro ambiente. Lo dice il Concilio: «Lo spirito di povertà e di carità è la gloria e la testimonianza della Chiesa di Cristo» (Gaudium et Spes, 88).

A voi, Figli carissimi, con la Nostra Benedizione, l’invito a moltiplicare questi segni di sovrumano valore: ne godrà l’anima che li compie; ne godrà il fratello che li riceve; ne godrà il mondo che li ammira; ne godrà la Chiesa, che vi si ritrova felicemente di Cristo.

                                                          



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