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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 5 aprile 1967

 

«Haec est victoria quae vincit mundum: fides nostra»

Diletti Figli e Figlie!

A ricordo di questa Udienza Noi vi ripeteremo una parola della prima lettera di S. Giovanni: «Questa è la vittoria che vince il mondo, la nostra fede» (5, 3). L’abbiamo ascoltata nella Messa della scorsa domenica, quando la liturgia della Chiesa era occupata a dare le ultime istruzioni ai neofiti, entrati nella Chiesa mediante il Battesimo, che a loro si conferiva nella notte di Pasqua; ma è parola che si riferisce ad ogni cristiano, e che, mentre svela a lui la realtà drammatica in cui si svolge la vita del cristiano, lo conforta con la certezza ch’egli potrà superare ogni difficoltà, e gliene suggerisce il segreto: la fede. Merita, Figli carissimi, che qui facciamo uno sforzo d’intelligenza per comprendere il significato di una affermazione, che sembra avere un’importanza decisiva nella condotta della nostra vita cristiana. Tre sono le parole in giuoco: vittoria, mondo, fede.

L'ESSENZA E IL VALORE DEL COMBATTIMENTO CRISTIANO

La parola vittoria è relativa all’idea d’un combattimento, che sembra investire sia la condizione, sia la durata della nostra presente esistenza; un’idea punto piacevole all’uomo moderno, che rivolge ideali, desideri, attività a togliere dalla concezione della vita e dal pratico suo svolgimento ogni disturbo, ogni contrasto, ogni presa di posizione forte e militante. La vita comoda, la vita libera, la vita pacifica costituisce il tipo migliore di esistenza, a cui rivolgere aspirazione e ammirazione. Un edonismo fondamentale ispira la filosofia pratica d’ogni individuo. Il benessere gaudente e incurante sembra il vertice delle umane ascensioni. E anche quando si ammette come nobile e necessario lo sforzo, il coraggio, il rischio, non esclusa la lotta, unta tendenza si nota, quella di eliminare il fine (se non il carattere) morale d’un’attività combattiva: si parla di morale senza peccato, si cerca di giustificare ogni sorta di azioni in sede psicologica e sociologica; non si vuole il combattimento né contro il demonio, di cui si nega l’esistenza; né contro il mondo, di cui si celebrano i valori fascinatori; né contro la carne, diventata l’idolo del piacere e della libera esperienza.

Non così la vita cristiana. Essa continua ad asserire la necessità d’un conflitto morale implacabile. Voi tutti, Noi pensiamo, avete rinnovato, in occasione della Pasqua, le rinunce e le promesse battesimali; e tutti ricordate gli insegnamenti di Cristo, il quale non tace l’asprezza della sua sequela, che esige di portare la croce con Lui, e che, per la voce dell’Apostolo, ci ammonisce: «Non vogliate conformarvi alla vita del secolo» (Rom. 12, 2); e «Non sarà coronato se non colui che avrà combattuto come si deve» (2 Tim. 2, 5). Questa concezione militante della vita cristiana è molto importante, perché la caratterizza, la distingue, la tonifica in modo inalienabile e originale. Ogni cristiano è un soldato dello spirito, è un aspirante alla santità, è un impegnato alla testimonianza.

E donde viene l’ostacolo, che obbliga il cristiano alla resistenza? L’ostacolo è molteplice, perché ciascuno lo incontra dentro di sé, per la disfunzione morale lasciata in noi dal peccato originale: carne e spirito si agitano e si contrastano dentro di noi (cf. Matth. 26, 41; Gal. 5, 17; cf. il famoso libretto di Lorenzo Scupoli: Il combattimento spirituale). Poi l’ostacolo lo troviamo spesso vicino a noi, nella convivenza che dovrebbe invece confortarci a virtù (cf. Matth. 10, 36); e - ciò che ci spaventa - d’intorno a noi, nell’atmosfera spirituale ed invisibile, ma potente ed operante, che oscuramente ci circonda (cf. Eph. 6, 12). Povera sorte umana, quante difficoltà, quante insidie, quante tentazioni la minacciano! quanta vigilanza è necessaria «per non cadere in tentazione»! (Luc. 22, 40, 46), e quanta preghiera! Non diciamo ogni giorno, con le parole insegnateci da Gesù: «Non c’indurre in tentazione»? (Matth. 6, 13).

Ma nella frase dell’evangelista Giovanni, che stiamo commentando, l’ostacolo, contro il quale dobbiamo combattere, è un altro: è il «mondo». E qui dovremo fare attenzione al molteplice significato di questo termine, che nel linguaggio di Cristo, riferito dallo stesso evangelista, assume spesso un significato negativo e malefico.

SUPERARE IL «MONDO» OSTILE AI. REGNO DI DIO

Mondo può significare il creato, il cosmo: è questo l’immenso universo della creazione, che non avremo mai finito di conoscere e di scoprire, e che può magnificamente servire come scala alla scoperta di Dio (cf. Act. 17, 27); noi moderni, noi alunni delle scuole scientifiche, siamo invitati ad una nuova ricerca di Dio, ad una nuova religiosità - non all’ateismo - proprio per questa via, che fedelmente percorsa ci farà conoscere meraviglie non solo naturali, ma anche spirituali. Il mondo è una grande, stupenda, misteriosa parola di Dio.

E mondo può significare l’umanità. È il senso considerato dal Concilio (cf. Gaudium et spes, 2), teatro del dramma umano, devastato dal peccato, ma amato e virtualmente salvato da Dio e da Cristo. «Così Dio ha amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, affinché chiunque crede in Lui non perisca, ma abbia la vita eterna» (Io. 3, 16). È il campo umano in cui si svolge la storia della salvezza.

LA DOTTRINA DI CRISTO VINCE OGNI INSIDIA

Ma vi è un terzo significato del termine «mondo»; ed è il significato cattivo e ostile. Il mondo, in questo senso, è ancora l’umanità, ma quella resa schiava del mistero del male; è la negazione e la ribellione al regno di Dio; è la coalizione delle false virtù, rese tristemente potenti dal loro affrancamento dal fine supremo; è in pratica una concezione della vita deliberatamente cieca sul suo vero destino, e sorda alla vocazione dell’incontro con Dio; uno spirito egocentrista, drogato di piacere, di fatuità, d’incapacità di vero amore. Ed è, tutto sommato, la «fascinatio nugacitatis» (Sap. 4, 12) la seduzione dei valori effimeri e inadeguati alle aspirazioni profonde ed essenziali dell’uomo; una seduzione, che incontriamo ad ogni passo della nostra esperienza temporale, e che ci può essere fatale. Analisi e riflessione da continuare.

Per superarla, diciamo ora, questa seduzione, di che cosa disponiamo? Disponiamo della fede, della sicurezza cioè che Cristo è veramente il Figlio di Dio, e che la concezione della vita che da ciò deriva è vittoriosa di questa terribile insidia. E qui invitiamo i vostri pensieri a sostare, e a ricevere come viatico a questo vittorioso superamento, dopo che insieme avremo recitato la professione della fede cattolica, la Nostra Apostolica Benedizione.


Le corali liturgiche di Francia

Nous voulons adresser maintenant un salut tout spécial au pèlerinage des Chorales Liturgiques de France, organisé par l’Institut Supérieur de Musique Sacrée de l’Institut Catholique de Paris.

Depuis votre visite d’il y a trois ans, chers Fils et chères Filles, une période intéressante de recherche et d’adaptation s’est poursuivie pour tous ceux qui, comme vous, cultivent la Musique Sacrée. Conformément aux directives conciliaires, le chant en langue vernaculaire a pris sa place à côté du chant en latin, et il n’est pas jusqu’au changement de nom de votre «Institut Grégorien» en celui d’«Institut Supérieur de Musique Sacrée» qui n’exprime à sa façon cette évolution.

Certains ont pu se méprendre sur le sens de ces nouvelles orientations, et montrer plus d’empressement à détruire et à supprimer qu’à conserver et à développer.

Mais, comme Nous le disions l’an dernier en recevant les Abbesses Bénédictines d’Italie, «le Concile n’est pas à considérer comme une sorte de cyclone, une révolution qui bouleverserait idées et usages et permettrait des nouveautés impensables et téméraires. Non, le Concile n’est pas une révolution, c’est un renouveau» (A.A.S. LVIII, p. 1156).

L’intention des Pères conciliaires, en élaborant la Constitution sur la Liturgie, a été clairement manifestée: non pas appauvrir le trésor de musique sacrée de l’Eglise, mais bien l’enrichir; non pas dissocier, mais associer fidélité à la tradition et ouverture au renouveau: unir, en somme, dans un sage équilibre, à l’exemple du scribe de l’Evangile (Matth. 13, 52), nova et vetera, l’ancien et le nouveau.

En ce qui concerne notamment le chant traditionnel, la récente Instruction de la Sacrée Congrégation des Rites sur «la Musique dans la sainte Liturgie», qui met en une si vive lumière le rôle et la nécessité des Chorales et Scholae cantorum en ce lendemain de Concile, recommande expressément «l’étude et la pratique du chant grégorien, qui reste, dit-elle, en raison de ses qualités propres, une base de haute valeur pour la culture en musique sacrée» (art. 52).

Nous savons, chers Fils, que vous vous appliquez, dans un esprit de parfaite docilité à l’Eglise, à promouvoir à la fois ce chant traditionnel de l’Eglise - grégorien et polyphonique - et les nouvelles créations musicales en langue française, et Nous vous en félicitons. Puissiez-vous ainsi contribuer à donner de plus en plus aux célébrations liturgiques ce caractère d’élévation et de beauté qui aide tant les âmes à s’approcher de Dieu! C’est le souhait que Nous Nous plaisons à former en vous accueillant ici aujourd’hui, et en vous accordant à tous de grand cœur, à commencer par les méritants organisateurs de votre pèlerinage, une très paternelle Bénédiction Apostolique.

                                                    



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