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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 26 gennaio 1972

 

Necessità della ricerca di Dio

Chi, come noi e come chiunque abbia la duplice responsabilità di conservare la propria fede religiosa e di comunicarla ad altri, avverte ad ogni istante che la difficoltà a credere, e, in genere, a professare la religione oggi è cresciuta.

Che l’uomo abbia una innata tendenza religiosa non si può negare; ma che l’uomo progredito ed evoluto del nostro tempo incontri oggi maggiore fatica ad assecondare tale tendenza e a condurla ad espressioni concrete e soddisfacenti, questo stupisce, questo addolora. Stupisce e addolora, specialmente perché sembra chiaro che la causa generale della irreligiosità moderna sia proprio il progresso moderno. L’uomo è cresciuto in ogni campo: della sua coscienza, della sua scienza, della sua attività; ed è invece diminuito nella sua capacità di comunicare col mondo religioso. Che sia il progresso a vanificare la religione?

Ci accorgiamo di entrare in un mare di questioni, di ogni genere, alle quali ora non intendiamo certo rispondere. Non basterebbero volumi. Intendiamo soltanto porre la vostra attenzione davanti all’osservazione del fatto vastissimo e notissimo della decadenza della pratica religiosa per stimolare la vostra mente a chiedersi perché. Quali sono le cause vere di questo grande fenomeno? E per ora ci basterebbe che la vostra indagine si limitasse ad individuare le cause interiori, le cause soggettive e personali. Vi preghiamo solamente di cercare da voi stessi i motivi di questo fenomeno. Che il fenomeno della irreligiosità moderna, ovvero dell’agnosticismo diffuso nella mentalità propria del nostro tempo, ovvero del processo laicizzatore dell’opinione pubblica, sia nel mondo della cultura, sia in quello della politica, sia in quello sociale, si debba ritenere fenomeno importante, e sotto molti aspetti fenomeno grave ed operante, nessuno lo può negare; e ciò tanto nel foro delle coscienze, quanto in quello degli orientamenti caratteristici della civiltà. Non è dunque vano e superfluo tentare di rendersi ragione dello svolgimento negativo odierno del fenomeno religioso.

Ricerca doverosa. E ricerca feconda. Se pretendiamo d’essere «adulti», cioè intelligenti, cioè liberi, cioè impegnati nell’uso intensivo e logico delle nostre facoltà umane, dobbiamo porre a noi stessi il problema religioso, nella sua concreta pienezza: il problema della fede.

Rinunciamo in questo momento a fare dell’apologia. Ci basti l’analisi, la diagnosi. E lasciando a ciascuno di tentare questa onesta riflessione, noi ora la mettiamo sulla strada dell’indagine con qualche semplice domanda. E la prima sia questa: è facile arrivare alla conoscenza religiosa naturale, cioè per via di ragione? o rivelata, cioè per via di fede? Noi anticipiamo la risposta: no, non è facile. Anche se è profondamente radicata nell’essere umano: mente, cuore, sentimento, radicata, diciamo, l’aspirazione verso Dio, non è facile soddisfare questa aspirazione. Siamo essenzialmente orientati verso di Lui, verso l’Assoluto, verso la ragione suprema di tutte le cose, verso il principio e il fine di tutto quanto esiste ed avviene; ma noi non riusciamo a farcene una concezione adeguata, e tanto meno una immagine sensibile o fantastica soddisfacente. La nostra religione naturale, se una religione vogliamo ammettere che, almeno potenzialmente, noi portiamo dentro di noi, essa non sarà che una ricerca di Dio, un tentativo d’avvicinarci a Lui. Coloro stessi che sostengono di raggiungere l’idea di Dio per il fatto stesso che pensano e che vogliono, come intimo e sommo coefficiente della verità del pensiero e della bontà del volere, devono ammettere la natura indeterminata, e perciò nebulosa, di questa iniziale e seminale conquista di Dio: Egli è al vertice dei desideri, Egli è alla radice delle ricerche, Egli è sotto il velo di un’intuita immanenza; ma Dio rimane mistero, e perciò tormento e dramma dello spirito umano. Sappiamo questo forse per qualche intima e abbagliante esperienza personale; lo sappiamo dalle pagine più alte dei mistici e dei poeti; e lo sappiamo anche dai libri che consideriamo divini: dice, ad esempio, l’evangelista-aquila, S. Giovanni: «Nessuno mai ha veduto Dio» (Io. 1, 18); e così S. Paolo: «Le cose divine nessun altro le sa fuorché lo Spirito di Dio» (1 Cor. 1, 11).

Perciò non è da meravigliarsi se da sempre la questione religiosa è difficile, e per molti, superficiali o superstiziosi, essa rimane altrettanto presente allo spirito, quanto insolubile.

Insolubile per difetto di buona ricerca. E questa è la causa che ora ci interesserebbe esplorare. La religione, e tanto più la fede, è difficile non solo per se stessa, ma anche per causa nostra. Noi non impieghiamo le nostre facoltà in maniera soddisfacente. Noi tutti, discepoli del nostro tempo, siamo di solito molto bravi ad applicare secondo le regole richieste ogni nostro strumento affinché questo raggiunga il suo fine. Nessuno di noi userebbe, ad esempio, una macchina fotografica senza la rigorosa osservanza delle norme che le sono proprie per ottenere il risultato voluto, quello d’una fotografia perfetta. Così si dica d’ogni altro strumento a nostra disposizione: esso deve essere adoperato secondo le regole requisite per la efficacia del suo servizio. Sotto questo aspetto, il progresso ci ha educato ad essere molto bravi, e ci ha abituati a conseguire conquiste meravigliose, tanto che, generalmente parlando, siamo portati a preferire questo modo di conoscenza, diciamo di conoscenza strumentale e scientifica a qualsiasi altro modo di conoscenza; e a questo riguardo possiamo ammettere che il progresso strumentale e scientifico ci attrae, ci conquide, ci appassiona in concorrenza e spesso in contrasto con la conoscenza speculativa e con la profonda esperienza morale, le quali servono normalmente di vie alla vita religiosa. Abbiamo trascurato le vie della sapienza per correre lungo le vie della scienza. Non che la sapienza e la scienza si escludano a vicenda, ché anzi l’una postula l’altra vicendevolmente. Ma il fatto si è che la mentalità moderna si appaga della certezza e della utilità pratica del suo razionalismo nozionale e scientifico a scapito del ragionamento filosofico (Cfr. Rom. 1, 20) e della ricerca della verità per i sentieri dell’onestà morale (Cfr. Io. 3, 21); e ciò rende più difficile la vita religiosa e l’accettazione della fede. Un errore di metodo, un peccato di omissione, una distrazione pedagogica grava sulla mentalità comune moderna; un laicismo esclusivista, una rinuncia all’impiego delle superiori facoltà spirituali, una opacità materialista ha impedito all’uomo del nostro tempo di venire a colloquio col mondo religioso, con la Realtà indispensabile ch’esso contiene e dischiude soltanto ai cercatori umili e saggi della luce divina, agli alunni dello Spirito, ai captatori del dono inestimabile della fede e della grazia. Forse per molti di noi si verifica quel tremendo verdetto del Vangelo, che fa d’un certo uso dell’intelligenza stessa una cecità: «guarderanno e non vedranno» (Cfr. Matth. 13, 14; e Is. 6, 9; Io. 12, 40, etc.).

Qui la questione religiosa si complica ancora terribilmente, perché vi si innestano due fattori delicatissimi e a priori imponderabili: la libertà umana e la misteriosa libertà divina; siamo alle soglie dell’insondabile problema della predestinazione. L’uomo arriva a Dio liberamente, nonostante il rigore dei ragionamenti teologici; e Dio salva l’uomo liberamente, non avendo noi mai un vero diritto dinanzi a Lui; anche i nostri meriti derivano, in fondo, dalla sua misericordia.

Che cosa diremo dunque? difficile, irreparabilmente difficile questo problema della religione e della fede? insuperabile, insolubile? e lo possiamo allora dire inutile, superfluo, anzi tormentoso e nocivo? Vi è chi tale lo dice! Ma osservate com’esso è drammatico: è problema necessario! Necessario per i dati inevitabili di verità e di realtà che esso contiene; necessario per le sorti ineffabili di tragicità e di perdizione, ovvero di salvezza, di felicità, di vita, che per noi, per ciascuno di noi, esso impone al nostro esistenziale destino.

Allora? Allora comprendiamo Cristo! la sua venuta, la sua parola, la sua salvezza. Egli è la Via . . . Pensate!

Con la nostra Benedizione.


Sacerdoti benemeriti dell’Arte Sacra

Un paterno saluto rivolgiamo ora al distinto gruppo di ecclesiastici italiani, ai quali la Pontificia Commissione Centrale per l’Arte Sacra in Italia ha voluto conferire un diploma di benemerenza per lo zelo da essi dimostrato in studi sull’arte sacra, in erezione di musei diocesani e nella direzione di uffici per erigende chiese.

Al doveroso riconoscimento di queste degnissime persone votate allo studio, alla tutela e all’incremento dell’arte sacra in Italia, volentieri aggiungiamo la nostra parola di compiacimento e di incoraggiamento per la loro preziosa opera in un settore così importante della vita pastorale. Opera che merita tutta la nostra stima e riconoscenza, perché oltre a conservare il patrimonio artistico della Chiesa, oltre a servire il culto e favorire il connubio fra bellezza e fede, essa contribuisce all’educazione e alla pietà cristiana dei fedeli, per alimentare la quale tanti tesori artistici furono concepiti e prodotti. È quindi un grande servizio che voi, figli carissimi, rendete sia alla religione che all’arte, tanto più meritevole di apprezzamento in quanto - come ci è stato assicurato dal vostro solerte Presidente - il vostro impegno intende muoversi nel rispetto delle norme emanate dall’autorità ecclesiastica e in conformità alle prospettive aperte dal rinnovamento liturgico Post-conciliare. Perciò volentieri formuliamo l’augurio che, per opera vostra, l’arte sacra in Italia riceva vigoroso impulso, atto non solo a valorizzare la produzione artistica religiosa del passato, ma a trarre altresì da essa feconda ispirazione per nuove forme espressive.

Intanto noi vi accompagniamo con la nostra preghiera e di gran cuore vi impartiamo l’Apostolica Benedizione.

Federazione delle Suore Ospedaliere

Un paterno saluto è dovuto oggi al numeroso gruppo di Superiore di Comunità Religiose operanti presso enti ospedalieri, cliniche, case di cura, riunite a Roma per il Convegno Nazionale indetto dalla Federazione Italiana Religiose Ospedaliere.

Vi accogliamo con vivo compiacimento, figlie carissime, e siamo lieti di questo incontro per esprimervi ancora una volta tutta la nostra gratitudine per la testimonianza di carità che voi offrite in seno alla Chiesa con la vostra generosa dedizione. Il tema del vostro Convegno: «La Superiora di fronte all’impegno della formazione continuata delle Suore» ci dice che le ansie e le sollecitudini della Chiesa per l’incremento della vita spirituale nei vostri Istituti hanno trovato in voi eco profonda e piena rispondenza. Ecco allora la consegna che vi affidiamo: procurate con ogni mezzo che l’intimità con Cristo attraverso una sincera e profonda vita interiore abbia a conservare sempre il primato in mezzo alle vostre Comunità. È questa vita interiore, amata e curata e sempre più sviluppata, che vi renderà angeli di conforto presso coloro che soffrono, vi aiuterà a comprendere e ad amare i pazienti a voi affidati, affinerà in voi gli impulsi più nobili del vostro cuore, vi farà vedere negli ammalati il grande misterioso Paziente, che soffre in ciascuno di coloro sui quali si curva la vostra amorosa assistenza. Non abbiate mai a temere che in tal modo sia intralciato il vostro dinamismo apostolico o possiate essere impedite di dedicarvi a fondo nel servizio degli altri. È vero esattamente il contrario. Ciò che si dà a Dio non è mai perduto per l’uomo; è stimolo anzi all’azione e sorgente feconda di energie soprannaturali.

Questi sono i nostri voti, come ci sgorgano dal cuore; e mentre preghiamo il Signore per voi, per le Comunità affidate alle vostre cure, per i vostri cari ammalati, paternamente impartiamo a tutti, in auspicio di ogni più desiderato bene, la propiziatrice Apostolica Benedizione.

                                       



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