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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Sabato, 4 novembre 1972

 

La Chiesa ha bisogno di Santi

La Chiesa ha bisogno di Santi.

Chi ha capito che cosa sia la Chiesa capisce la forza logica di questa affermazione. Noi che siamo imbevuti, noi lo pensiamo, della dottrina sulla Chiesa, a noi data dalla grande lezione del recente Concilio, dobbiamo certo ricordare come la santità sia al tempo stesso una proprietà della Chiesa, cioè un suo misterioso modo d’essere derivante dalla sua vocazione di Popolo di Dio, dall’alleanza che Dio ha istituito con quella parte di umanità da Lui eletta, favorita, santificata appunto ed amata (Cfr. Eph. 5, 26-27) e chiamata Chiesa, Sposa e Corpo mistico di Cristo, inesauribile sacramento, cioè segno e strumento, di salvezza; e come la santità sia perciò anche una nota della Chiesa, vale a dire una qualità esteriore, una bellezza riconoscibile, un argomento apologetico atto a impressionare storicamente e socialmente gli uomini che lo osservano con occhio onesto e capace di ravvisare, dove sono, i valori spirituali (Cfr. Lumen Gentium, 9, etc.).

La Chiesa, nel pensiero di Dio, è santa, cioè a lui associata, animata dal suo Spirito, rivestita d’una bellezza trascendente e derivante dall’armonia delle sue linee costitutive rispondenti al disegno divino, e perciò sacra e sempre religiosamente rivolta al culto divino e all’osservanza della divina volontà (Cfr. S. TH. II-IIæ, 81, 8). È santa nella sua natura. È santa nelle verità divine a lei consegnate e da lei insegnate. È santa specialmente nei suoi sacramenti, mediante i quali santifica gli uomini. È santa nella sua liturgia e nella sua preghiera. È santa nella sua legge, cioè nella pedagogia con cui guida gli uomini a camminare sui sentieri del Vangelo e a vivere nella carità. Ma questa santità, che possiamo chiamare attiva, è intesa a produrre la santità, che possiamo chiamare derivata (se non del tutto passiva) (Cfr. DENZ-SCH. 2201, ss.) dei membri che compongono la Chiesa, cioè degli uomini, i quali, anche nell’ordine della grazia, restano liberi, anzi sono invitati, aiutati, impegnati a fare uso quanto mai cosciente ed assiduo della loro libertà, cioè a compiere in se stessi, il precetto sommo ed urgente dello amore di Dio e quello che vi è collegato dell’amore del prossimo, con tutti i doveri che, secondo le circostanze nelle quali uno si trova, da quelli derivano.

Alla santità costitutiva della Chiesa deve corrispondere la santità praticata dei suoi membri. Che è quanto dire: non solo la Chiesa è santa per se stessa, ma noi che le apparteniamo e la componiamo dobbiamo dimostrarla santa per noi stessi; cioè noi, individui, organi e comunità, dobbiamo essere santi. Questa necessità relativa alle persone, in fieri risulta da una necessità più profonda, in atto, relativa all’autenticità interiore: la santità, come dicevamo, propria dell’istituzione ecclesiastica. La nostra fedeltà alla Chiesa comporta anche questo piano di vita: bisogna essere santi. Il programma della vita cristiana non tollera mediocrità; è tremenda, a questo riguardo la parola dell’Apocalisse, che dice: «Io conosco le tue opere, e so che tu non sei né freddo, né fervente; . . . ma poiché sei tiepido . . . io sto per vomitarti dalla mia bocca» (Apoc. 3, 15-16). Santi di nome erano qualificati i primi cristiani, ammessi alla comunione ecclesiale di fede e di grazia, e sapevano che come tali dovevano comportarsi. Ancor oggi nelle nuove comunità missionarie è coltivata questa mentalità, che obbliga a conformare il modo di vivere alle esigenze assunte del nuovo stile di vita, lo stile cristiano. Viene spontanea la domanda: come si può imporre un dovere così grave a gente di questo mondo, della quale conosciamo la pigrizia, anzi l’inettitudine verso i grandi ideali, verso quelli morali specialmente, che non vagano nelle speculazioni utopistiche, ma esigono applicazioni pratiche e concrete nella vita vissuta, e conosciamo parimente la fragilità nella coerenza operativa e l’illusoria felicità di assecondare le proprie passioni e gli stimoli dell’interesse e del piacere ? È esatta un’interpretazione della vita cristiana così severa? Non è la legge evangelica condiscendente con la debolezza umana? Liberatrice dai pesi del giuridismo e del moralismo? Quale lunga risposta esigerebbe una così complessa e radicale questione! Rispondiamo per ora molto sommariamente.

La vita cristiana, sì, è liberatrice dal peso di norme superflue alla perfezione, che sostanzialmente consiste nella carità (Cfr. Col. 3, 14), e che denuncia nel farisaismo un’ipocrisia intollerabile (Cfr. Matth. 23); ma non è lassista, anzi è moralmente seria e severa: si legga il discorso della montagna. Essa è tutta tendente ad una perfezione, che comincia dall’interno dell’uomo e che perciò impegna l’orientamento della libertà fino dalle sue prime radici, dal cuore (Ibid. 15). Ma dobbiamo tener conto, innanzi tutto, che l’azione umana del cristiano gode di un sussidio interiore meraviglioso e incalcolabile, la grazia; non dice il Maestro per confortare i discepoli, impauriti delle esigenze della morale evangelica: «Questo è impossibile presso gli uomini, ma presso Dio ogni cosa è possibile?» (Matth. 19, 26). Questo è un punto capitale per il seguace di Cristo e per tutta la dottrina e la pratica della vita e della perfezione cristiana, cioè per la conquista della santità, La grazia rende lieve e soave il giogo di Cristo (Cfr. Matth. 11, 30). La grazia operante nello spirito umano ne moltiplica le forze, fino a rendere amabile il sacrificio di se, la povertà, la castità, l’obbedienza, la croce. E poi possiamo aggiungere che la santità a noi richiesta non è quella dei «miracoli», cioè dei fenomeni straordinari, ma quella della volontà buona e ferma che in ogni vicenda ordinaria del vivere comune cerca la dirittura logica della ricerca della volontà divina.

Ed è di questa dirittura che vorremmo parlare, contentandoci di affermare ch’essa è la «testimonianza cristiana», di cui tanto si scrive e si discorre. È di questa santità che ha bisogno oggi la Chiesa: l’apologia dei fatti, degli esempi, della virtù trasparente, alla quale anche quelli che ci circondano danno riconoscimento e lo riferiscono a Dio (Ibid. 5, 16). Ed è questa santità, questa integrità di carattere cristiano, che rende, anche nel nostro mondo, profano e spesso ostile e corrotto, attendibile, come oggi si dice, il messaggio della Chiesa.

Questa santità, Figli carissimi, cordialmente, caldamente, a voi raccomandiamo con la nostra Benedizione Apostolica.


Pellegrini di Salerno

E ora siamo debitori di un particolare ringraziamento ai mille pellegrini dell’arcidiocesi salernitana, e al loro benemerito Arcivescovo, Monsignor Gaetano Pollio, che qui li ha guidati. Figli carissimi! Avete voluto ricordare nella preghiera il nostro settantacinquesimo compleanno, e per questa occasione vi siete stretti attorno a noi per dirci tutto l’affetto, tutta la devozione e fedeltà che Salerno nutre per la Cattedra di Pietro. È un’eredità preziosa, questa, che avete ricevuto dai vostri padri; e infatti, la vostra storia gloriosa è là a dimostrare quali rapporti siano intercorsi col Papa di Roma e con la Sede Apostolica, dei quali può ben assurgere a simbolo la gelosa pietà e venerazione con cui custodite le spoglie mortali di San Gregorio VII, intrepido assertore della santità e della libertà della Chiesa, accolto, perseguitato ed esule, dal vostro grande Vescovo Alfano. Una catena d’oro unisce Salerno a questa Roma fatidica: e, oggi, voi ce ne date un’ulteriore conferma, luminosissima.

Il Signore vi ricompensi, e fortifichi i vostri propositi di rimanere sempre ancorati a una tradizione che tanto vi onora. Siate pertanto sempre figli esemplari della Chiesa, uniti nel vincolo della pace mediante una intensa vita liturgica, stretti come fratelli attorno all’unica mensa del Pane della Vita, coerenti nel tradurre nella vita individuale e pubblica, familiare e sociale, le forti convinzioni di una fede autentica e sincera, alimentata dalla fedeltà al Vangelo e al Magistero ecclesiastico.

Così la vostra terra, ricca di tanti doni e di tante bellezze, continuerà a fiorire di una perenne primavera cristiana, nella sanità morale dei suoi figli, e nella fecondità delle loro opere. È l’augurio che di tutto cuore vi rivolgiamo, mentre impartiamo la Nostra Apostolica Benedizione, che porterete altresì ai vostri Cari, nell’intera arcidiocesi, in modo particolare ai piccoli e agli umili; in segno della nostra viva e memore benevolenza.

Gli «Amici di Don Orione»

Quest'oggi è presente all’udienza un gruppo numeroso di fedeli, cui ci piace rivolgere un particolare ed affettuoso saluto: sono gli Amici di Don Orione, che stanno celebrando a Roma, presso il Centro della Piccola Opera della Divina Provvidenza, un convegno a carattere internazionale ed ora, accompagnati dal venerato Cardinale Giuseppe Beltrami e da Monsignor Bronislao Dabrowski, son venuti ad esprimerci il loro sincero omaggio.

Figli carissimi, vi siamo molto grati della visita per diverse ragioni : anzitutto perché questa mattina, prima di trovarvi qui, vi siete recati nella Basilica di San Pietro a pregare secondo le nostre intenzioni; poi perché considerate l’incontro con noi come la conclusione delle manifestazioni per il centenario della nascita di Don Orione; ed ancora perché il tema, che avete scelto per il vostro convegno, riguarda in qualche modo la nostra persona e il nostro ministero.

Siete amici di Don Orione, come a dire ammiratori della sua luminosa figura ed estimatori delle sue imprese apostoliche. Molti di voi l’hanno conosciuto, ed anche noi, che più volte l’abbiamo avvicinato, siamo tuttora commossi dal ricordo di quei colloqui, dai quali riportavamo l’impressione di un uomo e di un sacerdote, animato da una carica eccezionale di zelo e di dedizione per le anime. «Papa e poveri» - come dice il tema da voi studiato - sono stati un unico amore per Don Orione. Don Orione è passato, nella storia religiosa della prima metà di questo secolo, come colui che ha intuito ed espresso, in forme originali ed ardite, il rapporto Cristo-poveri, come il coerente realizzatore di questo binomio inscindibile, suscitando consensi ed energie. La sua opera, pur tanto valida dal punto di vista sociale, alla luce di questo rapporto è ancora più alta: è autentica, perché evangelica e cristiana.

Voi che guardate al suo esempio ed offrite generosamente l’aiuto perché la sua eredità sia conservata e sviluppata, meritate apprezzamento ed elogio. Per questo, al saluto aggiungiamo il conforto della Benedizione Apostolica, che estendiamo volentieri a tutti i vostri cari ed alla famiglia dei Figli della Divina Provvidenza.

Opera «Villaggi per la Gioventù»

Guidati dal venerato Vescovo di Fiesole, Monsignor Antonio Bagnoli e dal caro Prof. Giorgio La Pira, sono qui presenti oltre duecento giovani toscani, appartenenti all’Opera Villaggi per la Gioventù. La vostra presenza ci fa molto piacere; in primo luogo perché nei vostri campi-scuola vi dedicate, in fraterna e serena comunione di spirito, a fare della vita di pietà, specialmente liturgica, il punto più alto delle vostre esperienze, e a dare alla vostra personalità una profonda e completa maturazione intellettuale, morale, spirituale. Ma ci rallegriamo anche per il carattere, che avete voluto imprimere a questo pellegrinaggio romano, per ritemprare, attorno alla Tomba di Pietro e nei luoghi sacri al martirio di Paolo, la vostra fedeltà a Cristo e alla sua Chiesa, la coscienza dell’impegno comunitario che tutti vi rende corresponsabili della formazione dei coetanei, il dovere della coerenza interiore e dell’aperta testimonianza di apostolato e di buon esempio.

Cresca la vostra gioia, nella conoscenza di Cristo, nel sapervi e sentirvi in Lui fratelli e amici, destinati a grandi cose: cioè a edificare il mondo di domani sulle basi di una più grande giustizia, rettitudine e lealtà, secondo le sante consegne del Vangelo. Mantenetevi sempre fedeli agli ideali che oggi vi cantano in cuore: e avrete la pace di Dio, che supera ogni intendimento (Cfr. Phil. 4, 7), e sarete costruttori di pace (Cfr. Matth. 5, 9). Con la nostra Benedizione Apostolica.

Impiegate di Roma

Abbiamo ora la gioia di rivolgerci alle rappresentanti dell’opera Impiegate di Roma, che ricordano il 50" anniversario della nascita della loro organizzazione nel centro della cattolicità.

Alla vostra Opera sono legati numerosi nostri ricordi. La incontrammo qui a Roma, durante gli anni del nostro servizio nella Segreteria di Stato; la ritrovammo a Milano, dove era sorta nel 1912, scaturita dalla vigorosa genialità apostolica del Padre Gemelli. Sappiamo che essa ha un’altra sede a Napoli, le cui rappresentanti abbiamo avuto l’occasione di accogliere, insieme a quelle di Milano e di Roma, in un incontro di alcuni anni fa.

I cinquant’anni di vita della vostra associazione qui a Roma vi hanno certamente invitato a guardare indietro, ai promotori, alle fondatrici, alle pioniere della vostra Opera provvidenziale e sempre benemerita, oggi quanto mai opportuna. Noi guardiamo con voi a questa vostra storia, già gloriosa pur se così semplice e breve; ma soprattutto vogliamo invitarvi a riflettere sulla profonda validità presente e sui possibili sviluppi futuri della vostra testimonianza, perché la vostra Opera, oltre ad avere determinati scopi di solidarietà e di assistenza, deve anche porsi nella società come particolare fatto cristiano ed ecclesiale. Voi, tra le numerosissime impiegate delle moderne metropoli, volete prendere coscienza che l’attività professionale e l’impegno temporale in un qualsiasi posto del mondo è, per il battezzato, anche vocazione cristiana, invio missionario, obbligo di testimonianza apostolica. Voi volete accentuare questo aspetto, come segno per il mondo, e in particolare per l’ambiente delle colleghe, dei datori di lavoro, e del prossimo al cui servizio siete destinate.

Dopo il Concilio, che ha risvegliato tanta ricchezza di idee sul ruolo ecclesiale di un laicato maturo e responsabile nel mondo, voi potete meglio rendervi conto che contenuti nuovi ed appassionanti si aprono al vostro lavoro, che spesso può sembrarvi monotono, meccanicizzato, impersonale. Queste grandi consapevolezze interiori debbono vivificare e valorizzare anche le azioni più indifferenti e di indole materiale, e soprattutto la convinzione di essere al proprio posto per rispondere con amore ad una vocazione, che è quella di essere il lievito, cioè di essere la Chiesa, nell’ambiente in cui siete state chiamate.

Sappiate essere attente a questi valori. Ve lo auguriamo di tutto cuore, mentre impartiamo a tutte le appartenenti all’opera, sparse per l’Italia, la nostra particolare Benedizione Apostolica.

Provinciali della Congregazione del Ss.mo Sacramento

Avec joie Nous nous tournons maintenant vers les membres du Conseil général élargi des Pères du Saint-Sacrement qui entourent leur Supérieur général.

Le culte particulier que vous rendez au Saint-Sacrement est la marque distinctive de votre Institut. L’attachement constant, dans l’adoration eucharistique, à la présence sacramentelle du Seigneur est un témoignage essentiel rendu au mystère central de la vie chrétienne. Votre action apostolique, chers Fils, y trouve le meilleur de son inspiration, comme le montre l’œuvre missionnaire de votre Institut durant ces dernières décennies.

Nous savons, chers Fils, que c’est pour promouvoir une réalisation toujours plus grande de cet idéal eucharistique que vous vous êtes réunis. Nous vous exhortons donc à faire croître en chacun de vos frères le sens de votre vocation. En même temps qu’à vous, c’est à eux tous que, de grand cœur, Nous étendons notre paternelle Bénédiction Apostolique.

Tecnici della Radio-Televisione di Danimarca

Nous souhaitons la bienvenue aux techniciens de la «Danmarks Radio» et, grâce à leur service de télévision, Nous saluons de grand cœur tous leurs compatriotes.

Chers amis danois, Nous sommes heureux de vous exprimer, en cette circonstance, l’estime que Nous portons à votre peuple, à son activité courageuse au cours de l’histoire, à la marche du monde vers plus d’humanité, de bonheur, de justice et de paix.

Cette œuvre grandiose à accomplir est à notre portée. Son urgence, sa complexité, son immensité requièrent un effort solidaire de tous les peuples. Aussi est-ce avec joie que Nous voyons ceux de l’Europe se lancer davantage vers une unité efficace, respectueuse de l’héritage de chaque peuple. Nous espérons qu’ils sauront en même temps se tourner vers les besoins de leurs frères moins fortunés du Tiers-Monde, dans un engagement généreux et fraternel. A nos yeux, leur commune origine chrétienne leur donne sur ce point une vocation particulière. C’est la doctrine même que nous avons amplement développée dans l’encyclique «Populorum Progressio».

Et Nous, Nous voudrions être pour nos Fils catholiques, pour nos frères chrétiens et tous les hommes de bonne volonté, l’écho le plus pur possible du message du Seigneur Jésus. Avec Lui, nous ne manquons pas d’espérance. Si Dieu a tant aimé le monde, c’est pour le libérer de toute servitude. Et le secret du bonheur et du salut que les hommes cherchent à tâtons, c’est l’amour dont il nous a donné l’exemple. Sur vous tous, sur ceux qui nous voient et nous entendent, Nous implorons sa divine Bénédiction.

                                    



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