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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 24 aprile 1974

 

L'ingresso nella Chiesa con la grazia della rigenerazione esige assoluto impegno dottrinale

La vostra visita ci trova ancora nel respiro dell’atmosfera pasquale, che deve riempire i nostri animi della reviviscente memoria del nostro battesimo, partecipazione non solo rituale, ma sacramentale al mistero pasquale, ch’è l’opera della nostra redenzione, compiuta da Cristo mediante la sua passione, la sua morte e la sua risurrezione, e a noi comunicata nella fede, mediante il simbolo efficace del battesimo stesso.
Il quale dunque non è soltanto un atto cerimoniale, un fatto episodico, una rievocazione memoriale del mistero pasquale, ma un principio vitale, innovatore, soprannaturale, permanente e profondo, che rigenera l’essere umano e gli imprime una nuova forma di vita, e lo associa ai nuovi destini del regno di Cristo.
Sorge allora una elementare domanda: questo momento prodigioso della nostra esistenza, il quale è tutto dovuto all’opera di Dio, alla sua trascendente e misericordiosa causalità, comporta qualche condizione da parte dell’uomo? È il battesimo un fatto puramente automatico, ovvero esige da chi lo riceve qualche particolare comportamento? Sì, certamente; tanto che nei bambini, che sono battezzati e non hanno coscienza di sé, deve per loro supplire la Chiesa, specialmente e ordinariamente, mediante i Padrini e le Madrine dei battezzandi. E quali sono queste condizioni?

Qui il discorso si farebbe lungo, ma certamente a nessuno di voi è ignoto, tanto che noi ora ci limitiamo a ricordarvene il titolo, che è quello del «catecumenato», parola questa che deriva dal verbo greco «katecheo», e che significa impartire un insegnamento orale, quello appunto che nella primitiva Chiesa cristiana si anteponeva alla ammissione al battesimo. Il catecumenato è la prima parte della iniziazione cristiana, della quale ora fortunatamente molto si parla; voi ne siete sicuramente informati; del resto faremo bene tutti ad «aggiornare» la nostra istruzione in proposito.
Ora qual è la chiave d’ingresso nel catecumenato? È la famosa domanda, con cui ancora oggi incomincia il grande e consueto rito battesimale: «Che cosa vuoi tu, che vieni alla soglia della Chiesa di Dio?» chiede il ministro del battesimo al neo-battezzando. Risposta: «Chiedo la fede». E il ministro: «che cosa ti può dare la fede?»; risposta: «la vita eterna». Nulla di più semplice, e nulla di più importante di questo fondamentale dialogo: la fede è la chiave d’ingresso; è la condizione iniziale, indispensabile, per accedere alla salvezza cristiana. Più che d’una fede formata, qui si intende d’una disposizione alla fede completa e già edotta delle verità, ch’essa introduce nello spirito umano, e che dovranno illuminarlo sempre meglio in tutto il corso successivo della vita cristiana.

Voi poi anche sapete che durante lo svolgimento del catecumenato, cioè della preparazione al battesimo, ad un dato momento, è richiesta al candidato, e a chi lo rappresenta o lo accompagna una esplicita, se pur sintetica, professione di fede con la recitazione del Credo, del così detto «Simbolo apostolico» (come, rifacendosi alla tradizione romana, per primo lo designa S. Ambrogio) (PL 16, 1174; 0. FALLER, Explanatio Symboli, pp. 9-10, CSEL, 73).
Fermiamoci qui, con una capitale osservazione: il battesimo comporta un preciso e deciso impegno dottrinale. Essere battezzati cioè essere cristiani, esige la fede, sia soggettiva, risposta personale piena e gioiosa all’Amore divino, rivelatosi salvifico in Cristo, sorgente di tutta la nostra vita nuova; sia oggettiva, adesione a una rivelata Parola di Dio, enucleata in determinate verità, che il carisma docente della Chiesa propone da credere, senza riserve e senza equivoche interpretazioni.

Voi comprendete come l’impegno dottrinale, fin dal primo tirocinio, sia fondamentale e solenne per chi voglia attenersi all’autenticità della professione cristiana; e come la fedeltà a tale impegno non possa essere qualificata di vieto e rigido integrismo, e non consenta arbitrii, così detti pluralistici, di opinioni personali e mutevoli, i quali deflettano dalla sostanza testuale della dottrina, quale il magistero della Chiesa, nella sua responsabile funzione e nel suo arduo dovere di «custodire il deposito» (Cfr. 1 Tim. 6, 20), conserva, difende e logicamente alimenta e sviluppa, memore dell’esortazione dell’Apostolo: «che la vostra carità cresca sempre più e più nella vera scienza . . .» (Phil. 1, 9).
Sicurezza ed armonia è la verità della fede nelle sue inesauribili espressioni; sicurezza ed armonia, di cui oggi ha particolarmente bisogno la Chiesa, non di sincretismo superficiale e artificioso, non di critica contestataria e sovversiva, non di indocili e indisciplinati pluralismi, ma di chi, come dice ancora l’Apostolo, «vive la verità nella carità» (Eph. 4, 15).
A voi l’esortazione, a voi l’augurio, con la nostra Apostolica Benedizione.

             



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