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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 15 settembre 1976

 

Vi è un mondo temporale migliore da costruire e un mondo spirituale che chiede pure costruttori

Fratelli e Figli carissimi,

La vostra presenza, così numerosa, così amorosa, ci ricorda una ricorrente parola del Vangelo (Matth. 5, 1; 9, 36; 14, 14), che ci lascia intravedere il cuore di Cristo dinanzi alle turbe; dinanzi alla folla, alla moltitudine, alla gente anonima e sconosciuta, dinanzi al popolo: Gesù è preso da un sentimento di simpatia, di compassione; ed è questo sentimento che si traduce in Lui nel desiderio di beneficare tutti, anzi di arrivare con una strepitosa effusione della sua bontà ai singoli componenti la massa del gregge umano; fu allora che Egli moltiplicò il pane per tutti e per ciascuno, preludendo così con simile gesto profetico all’istituzione del mistero eucaristico, simbolo e sorgente del mistero dell’«omnes unum» (Cfr. Io. 17, 21; 1 Cor. 10, 17), nel quale l’umanità eletta fa un corpo solo, in Lui, capo di questa universale assemblea, che si chiama la Chiesa (Eph. 1, 22).

Sì, questa è la Chiesa, edificata da Cristo, nella quale ogni singolo essere umano è persona in certa misura divinizzata, cioè esaltata ad un livello di partecipazione ineffabile alla pienezza della Vita divina (Cfr. 2 Petr. 1, 4), ed insieme compaginata nell’unità del Corpo mistico e sociale mediante l’animazione dello Spirito di Cristo (Cfr. 1 Cor. 12, 3). Questo è meraviglioso, Fratelli e Figli, perché non ha più parole nostre per essere adeguatamente espresso; è quella realtà religiosa che dobbiamo qualificare come soprannaturale per assegnare al nostro linguaggio la dimensione trascendente ch’esso intende raggiungere. Ed è meraviglioso, perché non si riferisce ad una condizione eccezionale del cristiano, ma riguarda il cristiano nel suo livello comune, quello che S. Pietro chiama il « sacerdozio regale » (Cfr. 1 Petr. 2, 9), e che il recente Concilio illustra come una prerogativa d’ogni cittadino del regno di Cristo; bellissime pagine, che tutti faremo bene a meditare ma voi laici specialmente, che vi siete in esse particolarmente considerati, per arricchire la nostra anima di due concezioni decisive per una autentica mentalità cristiana, e cioè la concezione della superlativa dignità umana, elevata alla vocazione cristiana, e la concezione della connaturale e cogente espansività della propria fede, cioè della logica necessità per tutti di fare dell’apostolato (Cfr. Lumen Gentium, IV, 30 ss.). Scrive San Paolo: «Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù . . . . non vi è più giudeo, né greco, non c’è più schiavo, né libero; non c’è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal. 3, 26. 28).

Quante volte capiterà a ciascuno di voi, e forse più volte al giorno, d’essere in mezzo alla folla umana, d’abitare nello stesso grattacielo, d’essere inserito negli ambienti del lavoro umano, stabilimenti, uffici, caserme, ospedali, eccetera, e di sentirvi soli, isolati, circondati, sì, da una fascia di collettività nel comune linguaggio, nella medesima nazionalità, e professione, e organizzazione, . . . ma estranei, interiormente diversi e quasi forestieri fra gli altri; la socialità, oggi tanto articolata, certo rimane, ma la propria individualità dell’uomo singolo si annega nella moltitudine della gente, non sempre comunicante in una identità di pensiero, di educazione, di interessi, di gusti, eccetera; il proprio io rimane come orfano e solo fra tanta gente, ignaro del destino e dell’essere stesso della propria vita.

Pensate ora al disegno cristiano, tutto luce, tutto comunione, il quale si sovrappone al labirinto della vita naturale. La linea di questo disegno proviamo a tracciarla. Essa parte da un mistero, vasto più di un oceano; ma mistero vivente d’infinita Bontà. Donde viene la nostra esistenza? Viene da Dio, viene dal Padre, viene da un Pensiero creatore, che ci precede, metafisicamente, realmente, e ci ama, ci predestina «ad essere conformi all’immagine del Figlio suo» (Rom. 8, 29). E poi? Ecco la prima stazione: il battesimo, rigenerazione della nostra vita, che deriva dalla macchiata stirpe di Adamo, e inserimento nel disegno della redenzione: Cristo, la Chiesa. Il disegno procede sul piano umano: Svegliate, genitori, la coscienza dei piccoli, alla ricerca di ciò che è Primo nella nostra vita, e date loro subito il segreto per interpretarla e per farla felice; anche il bambino è un «fedele», un membro vivo della Chiesa, ch’è la super-famiglia della società domestica e sociale. E che subito il ragazzo che cresce sappia allora la qualifica della sua nobiltà: tu sei cristiano, lo sai? è la tua fortuna, è la tua sorte; non mai devi arrossire di ciò che tu sei nel regno di Cristo; un sacramento nuovo, la confermazione, deve fortificare te, cristiano, a questa sincerità dinanzi a te stesso e agli altri, che ormai circondano e premono sulla tua inesperienza; « conosci, o cristiano, la tua dignità » (S. Leonis); sii forte, sii sicuro, sii buono non solo per te, ma per gli altri; il senso sociale assurge nella giovane esistenza al concetto di Popolo civile e religioso, quello temporale, la città, la nazione, il mondo; e quello spirituale, la Chiesa. Oh! educatori, suscitate nell’uomo crescente la convinzione della fratellanza umana, della convivenza concorde, della civiltà dell’amore . . . E tu, vita nuova, uomo o donna che tu sia, che farai? qual è la tua scelta? Qualunque essa sia da te preferita, un errore devi evitare: ch’essa sia egoista, e solo egoista; e non veda, primo, quanto tu sia in grado di dare, di prodigarti, di dilatare la sfera del tuo spirito alla casa, alla società, al mondo circostante per servirlo, per farlo buono e felice; e, secondo, quante mani vuote e febbricitanti per troppi bisogni siano tese verso di te; passerai indifferente e forse crudele?

V’è un mondo temporale migliore da costruire.

V’è un mondo spirituale, quello ottimo e necessario per la vita presente e futura, che, sotto tante forme, chiede pure costruttori. Voi giovani specialmente, avvertite l’esaltante richiamo?

Noi, vecchi operai, lanciamo il grido e attendiamo: è tempo di costruire! anzi, di costruire i costruttori, gli apostoli della città di Dio!

Con la Nostra Apostolica Benedizione.

Ai partecipanti al IV Convegno Nazionale promosso dall’Ufficio Centrale Emigrazione Italiana

Sono presenti a questa Udienza i partecipanti al IV Convegno Nazionale UCEI per Delegati diocesani e Missionari di Emigrazione. Il tema, che vi siete proposti di approfondire in questo vostro Convegno, diletti figli, è di notevole impegno: «Chiesa locale e partecipazione nelle migrazioni». Il fenomeno migratorio ha conosciuto in questi anni un crescente incremento, le cui cause e conseguenze costituiscono oggetto di attento studio da parte dei sociologi e dei politici.

La Chiesa, la cui sollecitudine pastorale abbraccia «l’uomo integrale, nell’unità di corpo ed anima» (Gaudium et Spes, 3 et 2), non può restare indifferente di fronte alla gravità di questi problemi. Giustamente perciò voi vi preoccupate di approfondire le conseguenze, che scaturiscono dal riconoscimento dei supremi e fondamentali diritti della persona umana, per favorire una sempre più chiara presa di coscienza degli imprescindibili doveri, che si impongono sia alle comunità di provenienza, che a quelle di arrivo, che agli emigranti medesimi.

Gli aspetti religiosi del problema della emigrazione presentano esigenze gravi ed urgenti, cui ogni Pastore coscienzioso non potrebbe responsabilmente soprassedere. È necessario che le Chiese locali come tali, voi lo avete opportunamente sottolineato, con una visione più organica delle necessità pastorali di questo settore, si impegnino ad ulteriormente sviluppare una adeguata azione, onde evitare che l’emigrante si senta spiritualmente abbandonato a se stesso. A questo scopo debbono ritenersi ancora pienamente valide le direttive emanate dalla S. Congregazione per i Vescovi con una apposita Istruzione, in data 22 agosto 1969, a voi ben nota (Cfr. De Pastorali Migratorum Cura). Esse possono offrire un ottimo piano d’azione, secondo il quale orientare le iniziative pastorali.

Figli carissimi, Ci rendiamo conto delle difficoltà grandi, con le quali deve misurarsi ogni giorno il vostro zelo sacerdotale, al cui ardore infaticabile Ci è caro rendere in questa occasione pubblica testimonianza. Ci sembrerebbe tuttavia di mancare alla stima, che ben vi merita l’intensa attività di questi anni, se non esprimessimo la Nostra fiducia nella vostra intelligenza pastorale, la quale saprà suggerirvi, con l’aiuto della grazia di Dio, le iniziative opportune per il prossimo futuro. Vi illuminino ed assistano la Madonna e San Giuseppe, ai quali pure toccò di fare la dura esperienza, vissuta da ogni emigrante (Cfr. Luc. 2, 4 ss.; Matth. 2, 13 ss.).

Anche Noi vi siamo vicini con la preghiera e la Nostra Apostolica Benedizione.

Ad un gruppo giapponese e a pellegrini americani

A special word for two groups: the Japanese Volunteer Probation Officers, and the pilgrims of the American Apostolate of the Holy House of Loreto.

You who belong to the Japanese group endeavour to assist the young who are in a position of particular difficulty. We hope that your journey will open up new ways for you to help repair broken lives, and we ask God to bless your important service to the community. No less important is the task set aside for you who come with the American pilgrimage. The patience and cheerfulness and the prayers of the sick are extremely valuable in promoting the general welfare. May you and those who assist you experience the favour of the Lord.

With Our Apostolic Blessing.

                          



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