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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 1° Dicembre 1976

 

Il Natale: un prodigio che si pone come cardine del destino di tutti gli uomini

Ecco l’Avvento. È questo il periodo liturgico che precede il Natale. È il periodo dell’attesa, della preparazione, della ricerca. Non si può celebrare degnamente quel grande fatto, quel massimo avvenimento, che è il Natale, cioè la venuta del Verbo di Dio, Dio Lui stesso, nel mondo, nella storia, nell’umanità, senza esservi in qualche modo preparati. Il Natale non è una semplice scadenza del calendario, è un prodigio che si pone come cardine del destino di tutti gli uomini; è il centro della ruota cosmica, che tutti ci coinvolge, coscienti o incoscienti che siamo. Esso pone enormi problemi, che soverchiano i nostri spiriti; o meglio, esso risolve questioni fondamentali per il nostro pensiero e per la nostra vita.

Innanzi tutto esso esige un primo atteggiamento, che possiamo dire un atteggiamento di ricerca. O se volete: un atteggiamento filosofico, cioè radicalmente razionale, quello che riguarda Dio, l’esistenza di Dio, la quale per noi è come il sole che illumina la scena sconfinata dell’universo: «la luce vera, quella che illumina ogni uomo», come dice l’evangelista San Giovanni nel prologo del suo Vangelo (Io. 1, 9); quella che rende intelligibile il mondo.

Ed ecco allora un nostro primo movimento di ricerca, quello che si rivolge a Dio. Esiste Dio? Chi è Dio? Quale conoscenza possiamo noi avere di Lui? A che punto si trova il pensiero contemporaneo rispetto a questo fondamentale interrogativo? E qual è la posizione del mio animo circa questo punto centrale del sapere umano?

Formidabili domande! Non pretendiamo affatto di darvi una risposta adeguata, organica, scolastica; ma solo ci basta avere l’avvertenza di queste domande per renderci conto dell’importanza, della vastità, della superiorità stessa dell’ambiente mentale, in cui ci introduce la celebrazione del Natale. La religione è così. Essa ci apre davanti panorami immensi. Poveri noi, se avessimo l’opinione, ahimé!, tanto diffusa nella mentalità contemporanea, che la religione sia una forma ingenua, primitiva, mitica di concepire il quadro della realtà, che circonda la nostra esistenza! La religione apre i cieli sopra di noi; la religione scopre abissi intorno a noi; la religione dilata il nostro pensiero oltre la stanza chiusa della nostra consueta esperienza. Registriamo intanto questa prima persuasione: l’incomparabile dignità della religione.

Intendiamo per religione il rapporto dell’uomo con Dio. E qui il nostro pensiero prenatalizio è invitato a superare un altro gradino, dopo quello dell’inferiorità a cui lo condanna l’ateismo moderno. Il gradino della certezza. La nostra ricerca non si mantiene nella sola fase della sua formulazione problematica quella interrogativa, quella della perenne indecisione finale, quella del dubbio sempre sospeso nell’incertezza, quella della riserva timida e aristocratica, che non vuole compromettersi ad ammettere la verità conquistata, fonte di troppi doveri. La nostra ricerca avrà, sì, la coscienza di non poter mai esaurire il suo sforzo verso il Tutto, verso il Segreto ulteriore e ultimo, e poi ineffabile della realtà; ma conservando la tensione verso il progressivo cammino del sapere, non rinnegherà l’adesione dovuta alla Verità conosciuta, non chiuderà la ragione nel timore sistematico di doversi ricredere, ma saprà dire « sì » alla certezza che motivi plausibili le impongono.
È questa una delle debolezze caratteristiche della mentalità di tanta gente del nostro tempo; confondere il dubbio scettico e abituale con la ricerca e lo studio dell’intelligenza critica e progressiva (Cfr. DENZ.-SCHÖN., 3014, 3036).

E così pure noi non dovremo cedere all’illusione, che anch’essa fa scuola nel nostro mondo incredulo; quella d’aver dato risposta sufficiente al pensiero umano con le risposte scientifiche, che sono certamente meravigliose, enciclopediche, progressive, ben degne d’essere cercate e celebrate, ma insufficienti, se eludono la suprema questione di Dio, o con la cecità preconcetta e pseudosufficiente, o con un reviviscente panteismo assurdo, o con un nichilismo umiliante; la scienza, dilatando il campo della conoscenza razionale, non fa che allargare il campo della finale ricerca del come e del perché delle cose, cioè del principio trascendente e generatore dei fenomeni scientifici (Cfr. C. TRESMONTANT, Comment se pose aujourd’hui le problème de l’existence de Dieu, pp. 384 ss., Seuil, 1966).

Sì, ricercare dobbiamo; ma non con l’animo prevenuto dalla disperata convinzione di non poter raggiungere la verità di Dio, quella ch’Egli stesso nel grande specchio della natura ci lascia scoprire, e quella poi che la storia e la Parola di Cristo con ricchezza ineffabile, con comunione vitale ci rivelano, Questa attitudine ottimista della nostra ricerca è un’attitudine prenatalizia che ci ricorda la parola di Pascal: «Tu non mi cercheresti se tu già non mi avessi trovato». Con la nostra Benedizione Apostolica.

                    



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